
Se il Lyst Index vi fa arrabbiare, non avete capito come funziona Facciamo il punto su cos’è e cosa dice il “Lyst Index”
Dal suo debutto nel 2017, il report trimestrale Lyst Index è diventato per molti una maniera di trasformare l’andamento del mercato della moda in uno sport competitivo. La stampa lo adora, i brand lo seguono con orgoglio (quando si trovano in cima alla lista) e molti insider lo considerano come un termometro del mercato. Ma l’ultimo report trimestrale, uscito ieri, ha suscitato diverse controversie, specialmente per l’inclusione in classifica di Burberry, brand che secondo molti non è veramente il 17esimo più cercato del mondo. Due delle voci più impertinenti della fashion-sphere online, Boringnotcom e Louis Pisano, hanno addirittura definito il ranking manipolato se non proprio inventato e, nelle sezioni commenti dei rispettivi post, molti hanno espresso il proprio scetticismo nei confronti nella classifica trimestrale. Il problema è dunque metodologico: se dei dati degli utenti di Lyst ci si può fidare, le cose diventano più fumose quando si parla di analisi relative alla crescita dei follower degli account dei brand, alle menzioni su diverse piattaforme, marchi e parole chiave ad essi relative, oltre al sentiment e alle ricerche nei database di 12000 boutique e store online. «Il Lyst Index è una classifica trimestrale dei marchi e dei prodotti più in voga nel mondo della moda, compilata da Lyst, la piattaforma di shopping di moda più grande e intelligente al mondo», si legge in apertura a ogni report. «La formula alla base dell'indice Lyst tiene conto del comportamento degli acquirenti Lyst, comprese le ricerche all'interno e all'esterno della piattaforma, le visualizzazioni dei prodotti e le vendite. Per monitorare la popolarità dei marchi e dei prodotti, la formula incorpora anche le menzioni sui social media, l'attività e le statistiche di coinvolgimento a livello mondiale, su un periodo di tre mesi». Ma cosa vuol dire esattamente?
Lo scorso gennaio, l’ideatrice del ranking, Katy Lubin, VP of Brand & Communications per Lyst, ha detto che l’azienda non rivela la formula segreta del proprio algoritmo, ma ha specificato che l’analisi include i dati ricavati dagli utenti sulla piattaforma del marketplace, che “connette” tra loro i principali retailer di moda multi-brand del mondo, e dai dati sull’engagement e le menzioni del brand nei social media. Nel processo sono coinvolti modelli linguistici di ampia scala, diversi ambiti di analisi dei dati e via dicendo. Ma forse è opportuno specificare quali siano i limiti di questo Lyst Index che, ad esempio, basandosi sui dati relativi ai negozi multimarca non tiene conto delle vendite in boutique o negli e-commerce del brand (tutti dati che Lyst non conosce prima che vengano presentati al pubblico dai gruppi stessi) e in generale dei canali di vendita diretti. Come forse non tutti sanno, negli ultimi dieci anni circa sempre più grandi brand si sono ritirati dai canali wholesale, ce ne sono altri che in un multimarca non sono mai andati e altri ancora, come Chanel, che nemmeno hanno un e-commerce. Non è un caso se diversi brand come appunto Chanel, ma anche Hermès o Brunello Cucinelli, non siano mai presenti e che altri, come Dior o Louis Vuitton, siano relativamente assenti pur vendendo miliardi – al netto di qualche saltuaria apparizione. Un altro limite strutturale è il fatto che i dati provengono solo dalla piattaforma Lyst, escludendo ogni forma di concorrenza esterna (come Farfetch, Yoox, Zalando), e costruendo quindi un campione intrinsecamente non rappresentativo del mercato globale. L’approccio è Lyst-centrico e, per quanto ricco di segnali digitali, non può offrire una fotografia completa del sistema moda. Non sorprende che molti insider del sistema provino una velata antipatia verso il peso che il ranking ha nel settore e verso il tipo di competitività che ha scatenato.
@kevinoadom Lyst’s VP of Brand Katy Lubin talks about creating The #Lyst Index one of the most important fashion reports in the world. She explains how important it is to franchise your business’ biggest asset. #marketing #branding #fashion #voicesoftheculture #marketingadvice original sound - kevinoadom
Un altro tema riguarda la natura delle ricerche online. Nel Google Play Store, la stessa descrizione dell’app dice che è «per trovare tutte le migliori offerte di moda». Se ne desume che gli utenti della piattaforma non appartengono alla fascia di altospendenti che effettivamente acquista la moda full price o nelle boutique locali ma piuttosto alla folla di clienti aspirazionali che sta solo guardando, o che cerca le offerte migliori. Questo significa che i dati raccolti da Lyst non riflettono necessariamente il comportamento d’acquisto reale del pubblico luxury, ma piuttosto una dinamica di desiderio, curiosità e consumo potenziale. L’indice misura l’attenzione digitale, non il potere d’acquisto effettivo — ed è quindi più vicino a un termometro dell’hype che a uno strumento analitico. A ciò si aggiunge la predominanza della viralità social tra i fattori presi in considerazione: likes, menzioni, condivisioni, engagement. È un sistema che tende a premiare il rumore mediatico e non la coerenza strategica, avvantaggiando brand fortemente esposti e penalizzando marchi più consolidati ma meno “instagrammabili”. Un ulteriore elemento critico riguarda l’assenza di indicatori finanziari nel mix di dati: i fatturati, la crescita organica, la redditività e le marginalità non sono considerati. Un marchio può quindi guadagnare posizioni nel Lyst Index anche se in perdita o in fase di ristrutturazione, semplicemente grazie a un aumento temporaneo dell’attenzione online. Inoltre, la ponderazione esatta dei dati raccolti non è resa pubblica: nessuno sa con certezza quale peso abbiano i click, le ricerche, le visualizzazioni, o i tempi di permanenza sulle pagine.
EMV or MIV is the index mostly discussed only within......Kpop fandoms. The fashion accs and real insiders (not those who claim to be insiders just because they are close to that company that invented the metrics) care about Lyst index since it reflects real interests in buying
— IA (@summeroba55) March 20, 2024
Infine, si entra in quello che può essere definito un loop autoreferenziale. Come Lubin ha spiegato, poi, ciò che un tempo era iniziato come una sorta di “bollettino scientifico” trimestrale è diventato nel giro di pochi anni una specie di arbitro del mercato che, pur con la sua vocazione all’oggettività, ha il potere di influenzare le vendite e i pattern di spesa dei fashion insider che lo seguono, di far esplodere una categoria di prodotti sul mercato, di creare discussioni nei consigli di amministrazione e nelle conferenze sui risultati trimestrali. Lubin lascia anche intendere che numerosi CEO e alti dirigenti della moda la chiamino direttamente per lamentarsi che il proprio brand sia sceso troppo e che il ranking è diventato una specie di bussola per diversi team di marketing e strategia. In altre parole, l’indice non solo fotografa il mercato: contribuisce attivamente a plasmarlo, innescando meccanismi reattivi che ne amplificano l’impatto. Più i brand lo seguono e si regolano di conseguenza, più il Lyst Index diventa una profezia autoavverante.














































