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Ai brand servono davvero gli ambassador?

Abbiamo analizzato l'impatto dei maggiori testimonial del lusso

Ai brand servono davvero gli ambassador?  Abbiamo analizzato l'impatto dei maggiori testimonial del lusso

Prima che le muse diventassero it-girl e che le it-girl diventassero ambassador, sono dovuti entrare in gioco soldi, esperti marketing e social media. L’industria dei testimonial oggi si inserisce in un universo ben distante da quello in cui Lou Lou de la Falaise faceva la fortuna di Yves Saint Laurent, ancor di più da quello in cui Audrey Hepburn indossava la couture di Hubert de Givenchy in Sabrina e Funny Face. Fino al secolo scorso, la popolarità delle star non si poteva ancora quantificare con i follower e il sistema moda poteva ancora fare affidamento su un solo volto, grazie alla lentezza con cui viaggiavano i trend, mentre oggi le maison devono arruolare ambassador a ritmo incessante se vogliono rimanere al passo coi tempi. Arrivano a costruire team di decine di stelle nascenti nel giro di una stagione, che però spesso non fanno in tempo ad apparire sul red carpet prima di venire sopraffatte dal bagliore della nuova arrivata: la pop culture e le mode sono diventate più frammentate, più rapide e più quantificabili, perciò scegliere un ambassador non è più solo una questione di ispirazione artistica, ma di posizionamento di mercato. Il successo delle k-pop star in Fashion Week è la prova del potere che il celebrity marketing esercita sul Monopoly del lusso, ma non sempre l’engagement social dei testimonial rispecchia il successo dell’azienda a cui appartiene. La chiave per il successo delle vendite, come vedremo, sta da un’altra parte. 

Persino il meno interessato al Met Gala sarebbe in grado di capire che quando un brand invita un artista sul red carpet è perché è un collaboratore, o sta per diventarlo, come nel caso di Rosalía: il 6 maggio in full look Dior Couture sul red carpet del museo, una settimana dopo annunciata ufficialmente come nuova global ambassador. A commento della scelta, la direttrice creativa Maria Grazia Chiuri ha dichiarato di essere «rimasta particolarmente affascinata da come questa giovane artista sia riuscita a reinterpretare e a riattivare i suoni e gli abiti associati al flamenco, trasponendoli in una cornice più moderna e contemporanea». Se da un punto di vista artistico Dior e Rosalía hanno un paio di punti in comune, tra cui la passione del brand per la penisola iberica (per la Cruise 2023, ha scelto Siviglia come sfondo e El Mal Querer come colonna sonora) e le radici effettivamente andaluse della cantante, è quasi certo che non siano state solo le note spagnoleggianti di Motomami ad aver motivato la maison ad avvicinarsi all’immagine di Rosalía, che al momento conta 27,7 milioni di follower su Instagram e quasi 25 milioni di ascoltatori mensili su Spotify. Il bello delle partnership tra brand e testimonial è proprio la loro interdipendenza, entrambe le parti si sostengono a vicenda nel grande schema operativo dello show business: Rosalía presta i fan, Dior piattaforme come il Met Gala. In una puntata del podcast The Cutting Room Floor, la celebrity stylist Karla Welch descrive in dettaglio la relazione che si è ormai stabilita tra star e moda. Quando lavori con un’attrice emergente che ha appena lavorato ad uno show o ad un film di successo, dice Welch facendo un esempio, e osservi l’alone di popolarità montare attorno alla sua figura pubblica, devi sfruttare il momento per inserirla ancora di più nella industry con un contratto da testimonial. «Si tratta di una macchina per fare soldi, quindi vuoi che i tuoi clienti ottengano contratti dai brand», dichiara la stylist. 

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Per capire meglio se le interazioni social che suscitano gli ambassador sulle pagine social delle maison influiscono davvero sulle vendite dell’azienda, abbiamo analizzato i loro risultati, partendo da Dior. Con una media pari a 90 milioni di interazioni da gennaio 2023 a oggi, la maison è prima in classifica per il maggior livello di engagement online grazie a un team di ben quarantasette ambassador. Rosalía per adesso ha raccolto “soltanto” 593k click, ma la sua immagine al fianco del monogram Dior potrebbe arrivare a sfiorare record raggiunti precedentemente solo da K-Pop artist come i TXT (18,3 milioni), Haerin delle NewJeans (32 milioni), Jisoo (45 milioni) o Jimin dei BTS (50 milioni). Sorprendentemente, i risultati a prima vista strabilianti dei colleghi di Rosalía non hanno però portato granché traffico al sito della maison nell’ultimo anno: su 90 milioni di interazioni, la boutique digitale della maison ha registrato solo un +0,7% di visite. 

A conferma della teoria che il vero scopo dei testimonial non sia il posizionamento economico, ma quello culturale, Burberry offre l’esempio perfetto di come un ambassador, per quanto famoso, attraente o seguito che sia, non abbia voce in capitolo sui risultati tangibili del brand per cui posa. Per un engagement annuale che sfiora 5 milioni di interazioni, la maison inglese ha portato a casa l’attore in ascesa stellare dopo l’uscita di Saltburn, Barry Keoghan, Danielle delle NewJeans, Emma Mackey di Sex Education e Barbie, l’attore cinese Chen Kun e il calciatore sudcoreano Son Heung-Min, ma al termine dell’anno fiscale (terminato il 30 marzo) ha registrato un utile in calo del 40%. I risultati insoddisfacenti degli ambassador Burberry da gennaio 2023 a oggi risultano ancora più palesi se messi a confronto con quelli di Miu Miu - solo 664 mila interazioni sui contenuti dei testimonial Minnie delle (G)I-DLE, Zhao Jinmai ed Emma Corrin, ma un fatturato in crescita del +58% - o di Diesel - solo 226 mila interazioni nell’ultimo anno, ma vendite a +13%. Entrambi i marchi hanno coltivato community ricche di artisti sulla cresta dell’onda, da Sydney Sweeney come volto delle ultime campagne Miu Miu a Dove Cameron in full look Diesel al Met, ma evidentemente la loro strategia marketing non punta sugli ambassador. Ciò che sembra aver inciso maggiormente sulle loro vendite è il prodotto: nonostante i loro nomi non appaiono nella Top 10 dei brand con più interazioni da parte di testimonial, ogni tre mesi riescono a fare capolino tra le prime posizioni in quelle di Lyst per articoli più hot del momento

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Le strategie adottate dalle maison di lusso nei confronti dei loro ambassador provano come, anche se riescono a raggiungere cifre impressionanti sui social, alla fine le collaborazioni con le celebrity non si traducono direttamente in aumenti delle vendite. Mentre Dior, con i suoi quarantasette ambassador e la nuova appuntata Rosalía, continua a riscuotere un buon riscontro tra i clienti con una crescita annuale delle vendite del +13%, da Burberry l’approccio celebrity-based al marketing non produce gli stessi frutti. Come insegnano Miu Miu, Diesel e altri come Loewe, JW Anderson, Moncler e Jacquemus, il vero segreto sta in ciò che si vende, non nel paio di mani che lo presentano. Tanto più, a rimboccare un brand di testimonial troppo freschi si rischia di far crollare un mito, di far scoppiare quella che secondo i report di Business of Fashion viene chiamata "Brand Magic", calcolata sulla relazione tra engagement social e clienti, e di frantumare l'iconicità degli ambassador stessi: se una maison ha bisogno di decine di ambassador, si possono davvero chiamare icone?