"Put Your Soul On Your Hand and Walk" è un pezzo di storia palestinese Alla Festa del Cinema di Roma passa il documentario sulla reporter palestinese diretto da Sepideh Farsi
Non è facile parlare di Put Your Soul On Your Hand and Walk, il documentario di Sepideh Farsi passato in anteprima al festival di Cannes e arrivato alla 20esima edizione della Festa di Roma. La regista e sceneggiatrice iraniana per un intero anno ha conversato con la reporter e fotografa uccisa Fatima Hassouna, una serie di videochiamate in cui la giovane, residente a Gaza, ha conversato con la cineasta raccontando la sua esperienza nei territori occupati dall’esercito di Israele.
Non è facile parlarne per tanti motivi. Il primo, il più chiaro, è la situazione in cui dal 7 ottobre Gaza riversa dopo gli innumerevoli attacchi che hanno sfollato e ridotto alla fame tantissime famiglie. Ad aggiungersi c’è uno dei vari dialoghi che Fatima ha intrattenuto con la regista, in cui esprimeva il desiderio di viaggiare e, in particolare, di voler visitare Roma.
Ma tra tutti l’elemento che più devasta di Put Your Soul On Your Hand and Walk, frase pronunciata da Fatima Hassouna stessa, è che tipo di persona esce dal ritratto per nulla veicolato e completamente sincero che offre l’opera. Classe ’99, originata di Gaza City, Fatima Hassouna è stata tra le poche reporter a poter documentare i bombardamenti, le esplosioni, la fame e gli edifici distrutti causati dall’occupazione israeliana dopo il 7 ottobre 2023. Decisa a rimanere nella sua città, nella sua terra, nel suo Paese, la giovane non si è data mai per vinta, fino alla fine.
«Ci vogliono eliminare», ripeteva a Farsi nelle loro chiamate, ma lo faceva con una tranquillità, con una pacatezza che era ed è tuttora difficile comprendere. Qualcosa di complesso e inspiegabile da elaborare per chi è seduto comodo, al sicuro sulla propria poltrona, mentre non sembra mai intaccare lo spirito della ragazza. Il cui sorriso, luminoso e mai assente durante le videochiamate, è una costante in Put Your Soul On Your Hand and Walk, oltre che la parte più dolorosa nel sapere essere stato spento dopo tutte le atrocità attraversate.
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L’allegria usata come arma da parte di Fatima è destabilizzante, ma è insieme la cosa più calorosa che il lavoro lascia e, nella piega drammatica che ha preso la sua storia, risana in parte il cuore sapere che ne rimarrà una prova indelebile e registrata che va dalle chiamate con la regista al suo averle messe insieme per il documentario. Ovviamente, però, ogni sorriso non è uguale all’altro. Piano piano l’anno ripreso da Farsi scorre sul volto di Fatima, a cui rimane ancorato il sorriso sulla bocca, ma che contemporaneamente si percepisce svanire dietro lo sforzo e l’impegno della reporter di alimentare la speranza.
La stanchezza psicologica, la carestia che avanza e il continuo vedere le case del suo vicinato scoppiare e le persone della sua famiglia morire non possono che influire su di una mente che continuava a restare salda nonostante il dolore che la stava logorando. Evidente, ma quasi nascosto; con la ragazza decisa a non cedere, anima e testa. Ciò che però ora è importante è che di Fatima non si faccia un esempio, che non diventi una martire in un genocidio che non sarebbe dovuto esistere e che non ha bisogno di fari, ma solamente di finire. Che il suo sorriso non diventi una bandiera, ma un ricordo da avere sempre presente, come qualcosa da tenere con sé.