
Anche i direttori creativi hanno bisogno di un trailer Quando l’attesa non basta, arriva l’anticipazione
C’era un tempo in cui, nell’attesa di un nuovo evento culturale, fosse al cinema, nella musica o nella moda, tutto ciò che si poteva fare era segnarsi una data in calendario e parlarne coi propri amici. Oggi le cose sono cambiate: il fenomeno dell’hype ha insegnato a brand, creativi e aziende che l’attesa può essere architettata nel minimo dettaglio, orchestrata in modo non diverso da un funnel di marketing. Ed è per questo che la nostra vita culturale collettiva, oggi, è fatta di teaser: scene post-credit, poster e trailer che offrono solo minuscole anticipazioni di ciò che deve venire, brandelli di nuovi album, photoshoot che accennano al futuro senza rivelarlo. E se già il mondo delle serie, del cinema, della musica e anche della letteratura sono già dominati da questa pratica che attira, infiamma gli animi e fa discutere, la consuetudine è ormai arrivata anche nella moda. In questi giorni, due dei debutti più attesi della prossima stagione sono stati anticipati da quelli che sono, in tutto tranne che nel nome, dei "trailer" per i nuovi direttori creativi: ieri è stata sia la volta di Wanderlust, un videoclip che anticipa i temi e il mood della nuova era di Jil Sander sotto Simone Bellotti; che quella di Versace, che ha svuotato il proprio profilo con l’eccezione dell’ultima campagna creata sotto Donatella, e ha pubblicato uno shooting e annesso videoclip del “nuovo” Versace di Dario Vitale. E se per il debutto di Glenn Martens da Maison Margiela era stato rilasciato un micro-video in cui una mano lucidava un cucchiaino su uno sfondo di tappezzerie damascate, anche poco prima dello show di Dior di Jonathan Anderson era stato postato un teaser con Sam Nivola che è stato il primissimo flash della nuova direzione creativa del brand. Ma perché i direttori creativi hanno bisogno di un “trailer”?
La risposta più ovvia alla domanda sarebbe quella che, come tutti i trailer del mondo, anche quelli della moda servano a creare attesa e, indirettamente, a informare il pubblico che un dato evento si verificherà. Dopotutto capita anche nel mondo del cinema che un film esca senza il supporto del marketing per poi floppare al botteghino – è una mancanza di awareness. Ma oltre a queste caratteristiche-base, questi “trailer” hanno un compito in più: non dicono semplicemente che un debutto avverrà, ma intendono dare un assaggio anche parziale di come sarà questo debutto, non solo in termini di vestiti ma anche di estetica complessiva. Sia quello di Jil Sander che quello di Versace, ad esempio, sembrerebbero girati su pellicola analogica per restituire un senso di autenticità e “profondità”. Andando nello specifico, poi, quello di Versace è composto da una serie di close-up espressionistici, vagamente Nouvelle Vague, che sembrerebbero voler rimuovere dall’estetica del brand la patina di glamour, di sensualità ostentata e artificiale calandolo in un mondo assai più “morbido” e vissuto fatto di texture più materiche, di sincerità e romanticismo nostalgico. Allo stesso modo, forse con una rottura meno radicale, Wanderlust di Jil Sander evoca il funzionalismo urbano di Amburgo accennando a un metaforico “ritorno a casa” del brand, riportandone i toni su un piacevolmente algido funzionalismo modernista. Una presentazione di sorta con Simone Bellotti che filtra il razionalismo di Jil Sander attraverso una lente nostalgica, con colori ricchi ma morbidi, la grana organica della pellicola e inquadrature sognanti che aggiungono una dimensione umana sull’ossatura minimalistica e razionale del brand.
Colpisce sicuramente di questa nuova pratica la sua vicinanza ai metodi pubblicitari tipici dell’industria dell’intrattenimento. Che la moda sia andata sempre più adottando tattiche tipiche di questo mondo per sollevare awareness è già molto noto, ma il momento in cui l’industria si trova rende il tutto ancora più carico d’importanza. Attraverso l’intera scena della moda di lusso, infatti, il 2025 è un anno di cambi di direzione e di visione creativa. Questi debutti non rientrano nell’ordine naturale dei cambi di direzione creativa già frequenti nella moda, ma rappresentano anche una risposta più o meno collettiva dell’intera industria alla fine di un’era di crescita tumultuosa del settore, che ora necessita di una nuova formula e dunque di una nuova comunicazione. Sempre di più, il lavoro e la figura del direttore creativo si astraggono dalla originaria funzione originaria di creazione di abiti per assomigliare a interi franchise creativi, espressivi di una sensibilità che parte sì dal prodotto venduto, ma si estende a un intero linguaggio visivo multipiattaforma che tocca il lifestyle, gli elementi visuali, quelli musicali e un’intera sfera di gusti e inclinazioni estetico-intellettuali che dimostra di quanto si sia ampliato l’ambito di storytelling dei brand. La moda sta tornando, in breve, a creare micro-mondi e invitarci al loro interno – chi è, però, che risponderà all’invito?













































