
Chi ha diritto al modest fashion?
Tra strategia commerciale, scelta estetica e atto politico
26 Giugno 2025
Ultimamente le passerelle hanno visto sempre meno abiti scollati. Le silhouette sono diventate più morbide, le gonne si sono allungate, le spalle spariscono sotto strati di tessuto. E così Rick Owens, mantenendo la sua identità provocatoria e brutale, ha fatto sfilare per la sua SS25 blazer oversize che arrivano fin sotto i piedi, top con strati su strati di tessuto che avvolgono braccia, petto e collo senza lasciare spazio alcuno alla nudità. È il segnale più evidente dell’ascesa del modest fashion, uno stile globale caratterizzato da capi che coprono maggiormente il corpo, privilegiando tagli ampi e lunghi. L'estetica modest rappresenta una nuova idea di bellezza che rifiuta standard estetici univoci e propone invece un linguaggio inclusivo, capace di accogliere differenti tipi di corpo, culture, fedi e stili di vita. Non si tratta solo di un trend: è un nuovo approccio all’abbigliamento che sta riconfigurando le gerarchie estetiche e che, secondo il Cognitive Market Research, sta influenzando il mercato globale. Il modest clothing nel 2024 vale già $65.8 miliardi negli Stati Uniti e $72.5 miliardi in Europa e si espanderà con un tasso di crescita annuo del 5% fino al 2031. Questo codice d’abbigliamento non è un’ondata passeggera ed è per questo che la moda sembra aver deciso di cavalcarla. La ragione più plausibile è che la domanda sia cambiata. I giovani, con budget ridotti, continuano a pescare nel fast fashion: crop top, minigonne, tank-top aderenti. Un’estetica provocante, spesso ostentata, difficilmente modesta. A sostenere il modest fashion è invece una generazione più adulta, economicamente più stabile, che chiede sobrietà, coprenza e funzionalità. Blazer oversize, pantaloni ampi, gonne midi: capi in linea con uno stile di vita più maturo, ma anche con un’estetica che rifiuta l’hypersexiness dei recenti trend teen.
Nonostante l’essenza del modest fashion sia sempre esistita - dal pudore degli anni '50 alle religioni con canoni estetici molto rigidi, come i Mormoni, gli Amish, i musulmani o, più semplicemente, i cristiani ortodossi - il vero significato resta ancora ambiguo. Su TikTok l’hashtag #modestfashion è un mosaico senza regole: donne musulmane che mostrano stratificazioni raffinate, ragazze americane in abiti a fiori e cardigan con caption come 'God first' o 'soft girl modest look'. Un’estetica che cambia faccia a seconda del contesto culturale. E negli Stati Uniti questa ambiguità prende una piega politica e, spesso, anche satirica. Con Trump nuovamente Presidente degli USA, il conservatorismo è in crescita, e con esso la sua influenza sulla moda. Look più coprenti come quello da ragazza della prateria reso popolare dall’influencer americana Ballerina Farm, e quello alla Ethel Cain ispirato allo stile country-grunge della cantante, rimpiazzano trend come l’office siren, aprendo le porte a nuovi immaginari visivi. Tra questi la trad-wife che rievoca l’immaginario domestico anni '50. Grembiuli, abiti a collo alto, colori pastello: il revival della perfetta casalinga. C’è poi il quiet-luxury, spesso adottato dalle donne della famiglia Trump, che viene spesso ricollegato al modest fashion perché essenziale ed elegante. Ma qui nasce la satira: alla modestia degli abiti viene abbinato un make-up esagerato, diventato virale sui social come MAGA make-up. Dietro l’acronimo del celebre slogan trumpiano Make America Great Again, si nasconde un trucco volutamente eccessivo: incarnato arancione, contouring esasperato, labbra oversize, occhi incorniciati da eyeliner taglienti. Un’estetica volutamente sopra le righe che prende in giro lo stereotipo della donna conservatrice americana: iper-femminile, artificiale, plastificata. Il modesto, qui, si trasforma in maschera grottesca, e diventa lo strumento attraverso cui si riafferma una femminilità normativa, patriarcale e performativa. Una parodia che denuncia, esagerando, le contraddizioni di una visione che predica pudore e ostenta artificio.
@kaaaaaaayx Modest (ish) spring outfit dw I know this shirt isn’t the most modest, but I’m just working with what I already own and trying my best to modify if I can! #modestfashion #grwm #christiancommunity original sound - dachristians
Restando nell’ambito social, nel panorama italiano una figura chiave è Aya, conosciuta online come Milan Pyramid. Creative italo-egiziana cresciuta a Milano, oggi conta oltre 30mila follower e rappresenta una delle voci più coerenti del modest fashion musulmano. Il suo intento, come si legge in uno dei suoi post è di portare la sua identità e la sua forza in spazi di resistenza, come può essere il Festival del Cinema di Venezia o un front row alle sfilate. Indossa l’hijab con capi d’alta moda e, attraverso i suoi look, racconta un’identità complessa ma potente. Ogni outfit per lei è un manifesto: stratificazioni, colori, silhouette morbide. È la prova vivente che il modesto non è sinonimo di invisibilità, ma di affermazione. Aya ci racconta la storia delle donne musulmane che vivono in un paese occidentale e ci ricorda che il tema del modest fashion divenne argomento ricorrente negli anni Duemila, quando le figlie di immigrati nate in paesi occidentali come l’Italia, l’Inghilterra o l’Olanda, erano poste di fronte a un bivio: le loro radici o la nuova identità occidentale. Queste donne, racconta Aya, decisero di rispondere a questa frizione con una fusione, restando fedeli alla loro religione, alla loro cultura e ai codici estetici che queste comportano, aggiungendo un tocco di Occidente. Linee fluide, abiti coprenti e, per alcune, hijab, ma anche colori, layering e accessori. Quelle adolescenti stavano dando il via al modest fashion visto come linguaggio estetico e politico, uno spazio di espressione per chi si sente fuori posto in una società che ha spesso teso verso la femminilità estrema.
Nel panorama internazionale è importante che i grandi nomi dell’industria della moda inizino a prendere posizione, dando spazio e voce alle donne che decidono di adottare il modest fashion come stile di vita. Aya ci dà l’esempio di Dolce&Gabbana con una collezione del 2016 fatta interamente di Abaya, abito femminile caratteristico di alcuni paesi musulmani. Alcuni brand, sottolinea la creative italo-egiziana, pur senza rivendicare un’identità legata al modest fashion hanno offerto proposte perfette per chi lo pratica: linee fluide, layering intelligente e volumi scultorei. Tra tutti Prada, Valentino e Gucci quando era sotto la direzione creativa di Alessandro Michele. E sono proprio questi i nomi che ha dato Aya quando le abbiamo chiesto quali fossero i brand con cui si sente più in sintonia. «Con loro non ho mai avuto problemi a trovare qualcosa da indossare,» puntualizza, raccontando anche quando prima delle sfilate di Prada le veniva mandata una selezione di foulard da poter indossare durante lo show. Nelle ultime collezioni dei brand di lusso questa nuova filosofia si palesa sempre di più. La SS25 di Courrèges ha visto sfilare, oltre a minigonne e fasce per il seno, anche dei capi che rientrano a tutti gli effetti nell’estetica modest, pur mantenendo un’aura piuttosto austera: un cappotto in pelle nera lungo fino al ginocchio e irrobustito da un cappuccio in stile Azzorre, seguito poi da un mantello con le maniche ridotte a due ampie fessure sulla vita, lasciando appena lo spazio per infilare le mani nelle tasche anteriori. Prada durante la SS25 si è riconfermata alleata del modest fashion con alcuni capi estremamente puliti ed eleganti, e Valentino, con l’arrivo di Alessandro Michele, ha dato il via a silhouette morbide, camicie abbottonate fino al collo, e layering fino allo sfinimento. Dando un ulteriore sguardo alle ultime collezioni Resort, saltano all’occhio anche alcuni capi firmati Stella McCartney: la designer inglese, infatti, conservando un alone di sensualità, ha portato alla luce capi drappeggiati, che non evidenziano le forme del corpo, in palette monocromatiche sulle tinte del marrone, del beige e del bianco. Nonostante qui l’estetica modest si mantenga molto calma, causa, per esempio, le spalle scoperte, la collezione è destinata ad un pubblico più ampio del solito.
L’alta moda cerca sempre di più di entrare in questa nuova filosofia, tanto per essere al passo con i trend quanto per aumentare i guadagni, espandendosi sempre di più sul mercato globale e riformulando l’offerta per rientrare nei bisogni di quante più persone possibili. Ma il modest fashion, nel 2016, si è guadagnato uno spazio con la prima Modest Fashion Week ad Istanbul, successivamente diffusasi a Londra e Dubai nel 2017, a Jakarta nel 2018, Amsterdam nel 2019 e Riyadh nel 2022. L’ultima si è svolta nel suo luogo d’origine, nel 2024. Il mercato arabo è in continua espansione: secondo il Boston Consulting Group, il mercato del lusso in Medio Oriente nel 2023 ha raggiunto un valore di $15 miliardi e, secondo le previsioni, potrebbe arrivare a 30-35 miliardi entro il 2030. E così, se in Occidente si dibatte sul significato di modest fashion, in Medio Oriente quest’ultimo diventa un asset strategico. La visione delle Modest Fashion Weeks, come si legge sul sito ufficiale, è quella di promuovere relazioni globali e sostenibili tra tutti gli attori del settore del modest fashion, dagli stilisti ai media, all’interno di un mercato che oggi vale oltre $370 miliardi.
Alcune donne, lontane dai vari immaginari social, sembrano approcciarsi al modest fashion per ragioni che non hanno nulla a che fare con la religione. Come affermato dalla Dott.ssa Samreen Ashraf della Bournemouth University in un’intervista per il The Guardian, molte donne si aggrappano a questo modo di vestire perché stanche dell’oggettivazione e della sessualizzazione da parte degli uomini, altre invece adottano il modest fashion per sentirsi a proprio agio con il loro corpo, spesso perché convivono con disturbi come la dismorfia corporea e trovano nei capi coprenti e fluidi quel senso di sicurezza di cui hanno bisogno. Ma la libertà sta anche nello scegliere di non mostrare, prendere il controllo della propria immagine e il modest fashion, da questo punto di vista, è un mezzo potentissimo che ribalta questa logica. Per molte donne, decidere di non mostrare il corpo è un gesto attivo, consapevole, persino liberatorio. È una risposta a un immaginario collettivo che ha per anni legato il valore femminile all’esposizione del corpo. In questo senso, l’estetica modest si muove tra esigenze religiose, conservatorismo politico e pulsioni profondamente personali, costruendo un nuovo linguaggio che parla di autodeterminazione.