
«Vogliamo creare un luogo d’incontro»: Maria Grazia Chiuri parla del Teatro della Cometa
Insieme alla figlia Rachele Regini la designer racconta la riapertura dello storico teatro romano
11 Giugno 2025
La riapertura del Teatro della Cometa a Roma non è solo l’ennesima dimostrazione del legame tra moda e arti performative (ormai nuova passione del fashion system). Nella carriera pluridecennale di Maria Grazia Chiuri rappresenta un nuovo capitolo, più intimo e radicato. Un percorso che si arricchisce anche grazie alla collaborazione con Rachele Regini, sua figlia, che all’interno dell’universo del Teatro Cometa ricoprirà il ruolo di capo del comitato scientifico e coordinatrice dei curatori nei diversi ambiti artistici del nuovo palinsesto. È, sotto ogni punto di vista, un ritorno a casa e alle origini, ma anche a un luogo di autentico interesse personale. La designer ricorda: «Il primo incontro con il Teatro Cometa è stato da spettatrice, sono stata abbonata con mio marito Paolo fino alla chiusura nel 2020. Dopo averlo rilevato nel 2018, ho iniziato a trovare e a cercare i documenti relativi alla sua storia, e un incontro più approfondito è passato attraverso i bozzetti del 1947 di Tomaso Buzzi che, come spesso accade in queste situazioni, ho ritrovato con grande sorpresa tra questi materiali». Quella di investire nelle arti teatrali non è stata una scelta casuale, anzi il rapporto di Chiuri con il mondo performativo è sempre stato presente, in particolare durante questi ultimi dieci anni a Parigi, dove a capo di una delle più grandi Maison parigine ha saputo svilupparsi attraverso numerose collaborazioni artistiche, anche in ambito teatrale. Dalla danza contemporanea di Sharon Eyal all’estetica visionaria di Bob Wilson, l’interazione con questi artisti ha contribuito ad affinare la sua sensibilità creativa e a nutrire un interesse per la relazione, spesso totalizzante, tra corpo, abito e spazio scenico. Come spiega lei stessa, «ero interessata ad aprire lo spazio fortemente performativo che è quello della sfilata, ad altri riti di natura effimera come le performance teatrali. Ho voluto mettere gli abiti in dialogo con queste realtà».
L’iniziativa di Maria Grazia Chiuri e del team del Teatro Cometa sembra arrivare in un momento particolarmente favorevole per la città di Roma, che, come ha recentemente ribadito il Sindaco Roberto Gualtieri, deve tornare a essere un centro culturale vivo e accessibile, soprattutto per le nuove generazioni. «Una parte della programmazione», interviene Rachele Regini che come dicevamo dirige il comitato scientifico del Teatro, «sarà dedicata a registi italiani di differenti generazioni che avranno la possibilità di portare a Roma i loro spettacoli». Un’urgenza che si riflette anche nella visione alla base della riapertura dello storico teatro, come sottolineato da Rachele Regini, per la quale il nuovo Cometa «un punto di riferimento a Roma per una programmazione di prosa, musica e danza. Il desiderio è quello di attivare un dialogo costante con la città e con le sue comunità creative». L’intento non è quello di replicare modelli già esistenti, ma di offrire una «programmazione non tradizionale che alterni eventi di provenienza internazionale, ma anche italiana, un luogo nuovo che possa aggiungersi al panorama culturale della città all’insegna dello scambio e intreccio tra culture e codici espressivi». Regini spiega che la volontà è quella di attivare un dialogo costante con la città e con le sue comunità creative, inserendosi nel panorama culturale romano come un luogo dinamico, inclusivo e aperto allo scambio.
Del resto, realtà come quella del Teatro Cometa sono ancora rare nel panorama nazionale, soprattutto se confrontate con città come Parigi, dove, come osserva la stessa Chiuri, il fervore culturale è palpabile su molteplici livelli. L’esperienza francese ha avuto un impatto importante sul suo sguardo creativo: «Ho imparato moltissimo a Parigi e dai francesi. I francesi sanno promuovere i loro artisti e le loro rappresentazioni, il pubblico francese è molto attivo». Un modello da cui trarre ispirazione, anche per dare una nuova centralità alla cultura in Italia, così da creare connessioni tra mondi diversi, come la moda e le arti performative, in maniere naturali e mai forzate (o, come in certi casi, appositamente lucrative). Per Maria Grazia Chiuri, non è mai stata frutto di una strategia esterna, ma parte integrante della sua visione: «La moda per me è sempre stata un modo per parlare di corpi e della nostra relazione con il corpo. Ho voluto utilizzare questa piattaforma per collaborare con artisti e performer che si interrogassero insieme a me su alcuni aspetti legati alla nostra relazione con il corpo e quindi anche con gli abiti». È da qui che nasce la volontà di fare del Teatro della Cometa uno spazio aperto in cui artisti, performer e musicisti possano confrontarsi, elaborare nuove rappresentazioni e continuare a porre domande, senza mai dare risposte. La rinascita però non punta allo snaturare l’identità del Cometa, ma a valorizzarne l’eredità storica e architettonica, come sottolinea Chiuri, «ci siamo prima impegnati nella sua ristrutturazione con l’architetto Fabio Tudisco dal 2018 ad oggi. Avevamo come obiettivo quello di far tornare lo spazio al suo disegno originale, restituire il fascino che ha sempre avuto ed aggiornarlo con le migliori soluzioni tecniche che potessero trasportarlo nel panorama contemporaneo».
Per ora, sul nuovo capitolo di Maria Grazia Chiuri nel sistema moda non si sa ancora nulla di certo. Ma l’interesse sempre più marcato verso le arti teatrali suggerisce un desiderio di distacco, seppur graduale, da quel mondo parigino così centrale quanto caotico. Non si tratta di un addio, ma forse di una ricerca di equilibrio, un modo per ritrovare un ritmo più umano e un contatto più diretto con il pubblico, con gli artisti, con le cose fatte per il piacere di essere vissute, non solo osservate. Non a caso, Chiuri parla di questo passaggio come di un momento rigenerante: «Sono felice di sperimentare una dimensione diversa, più intima e più familiare, in un momento storico dove spesso manca il contatto umano». In un’industria ormai dominata dagli schermi, dall’accelerazione continua e dalla fruizione a distanza, il ritorno al teatro rappresenta per lei una sorta di rinascita, «tornare a teatro, che è il luogo per eccellenza del qui ed ora e della presenza fisica, quella dei performer e quella degli spettatori, è un meraviglioso nuovo inizio per me». Un inizio che, pur restando legato alla creatività e al dialogo con il pubblico, si sviluppa su coordinate più personali, più lente, forse anche più sincere, senza le forti influenze del fashion system.