
La moda può ancora andare oltre il greenwashing?
L’intervista a Eileen Akbaraly, fondatrice di Made For A Woman

05 Giugno 2025
«Il lusso, oggi, è sapere che il tuo acquisto ha contribuito a migliorare una vita,» lo afferma Eileen Akbaraly, CEO e fondatrice di Made For A Woman, brand malgascio fondato nel 2019 che vede tra i suoi collaboratori brand come Fendi e Chloé. Un'idea di valore che non si misura solo nel prezzo di un capo, ma nelle condizioni sociali di chi lo ha realizzato. In un momento in cui molti marchi parlano di sostenibilità, etica e consapevolezza, la distanza tra comunicazione e realtà resta ancora ampia. Negli ultimi mesi, diversi casi hanno mostrato come, dietro la narrazione “green”, il sistema moda continui a operare con filiere opache e poco tracciabili. Com'è successo a fine aprile 2025, quando il Tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria di Valentino Bags Lab Srl, controllata da Valentino Spa, per gravi irregolarità nella filiera. Il caso non è isolato, infatti già nel 2024 Dior, Armani e Alviero Martini erano stati protagonisti di accuse di caporalato per uso di sweatshop all'interno della filiera italiana, ora però risolte. Oltre la Maison francese, anche altri brand di LVMH lo scorso anno erano stati sotto indagini per sfruttamenti della produzione tessile, soprattutto sulla base della differenza abissale tra i prezzi della materia prima e quelli del retail. Come dichiarato dall’imprenditrice «non solo per le persone direttamente colpite, ma anche perché questi episodi dimostrano quanto lavoro ci sia ancora da fare per rendere la moda un settore davvero etico e giusto».
@twinbrett Valentino are the latest brand to be placed under administration after a court ruling has found new reports of exploitation in their supply chain. Made in Italy has taken a bashing in recent months as more allegations of labour issues come to light. What was once the trademark of trust, quality and craftmanship is now losing meaning when attached to large luxury brands. #valentino #exploitation #supplychain #madeinitaly #sustainability #twinbrett #armani #dior #chinesefactory #valentinobags #fashionfactory #luxuryfashion original sound - Brett Staniland
La questione è fondamentalmente ideologica: secondo un report di Business of Fashion, solo il 18% dei dirigenti del settore moda considera la sostenibilità una priorità strategica. Un dato che trova riscontro nelle recenti scelte operative di marchi come Burberry, che ha annunciato il taglio di 1.700 posti di lavoro entro il 2027, con l’obiettivo di risparmiare 100 milioni di sterline e concentrare gli sforzi sui prodotti iconici. Non si può fare di tutta l’erba un fascio però, dato che all’interno del panorama della moda ci sono brand che operano con coerenza, senza sbandierare certificazioni. È il caso di Rick Owens, che da anni produce le sue collezioni in provincia di Modena collaborando con artigiani locali. Pur non definendosi un marchio “etico”, Owens ha attivato iniziative concrete come la collaborazione con Veja su una sneaker bio-based o la linea Eco-Aware, dimostrando che la trasparenza può passare non dalla comunicazione, ma dai gesti.
rick owens: "buy fewer clothes"
— gibby from icarly (@monolilium) March 22, 2025
interview from 2009 pic.twitter.com/kW0OW0eP4P
Secondo Akbaraly, ogni azienda ha una responsabilità implicita nei confronti di tutte le persone coinvolte nei processi produttivi, non solo dei clienti. «È solo mettendo al centro tutte le persone che si può ricostruire la fiducia dei consumatori e cambiare davvero le regole del gioco». Il suo brand di slow fashion Made For A Woman, fondato ad Antananarivo, in Madagascar, dimostra che un'alternativa è possibile. Il cuore della produzione è rappresentato dalle borse e dagli accessori in rafia. L’atelier coinvolge oltre 350 artigiane, che realizzano ogni pezzo a mano, preservando un sapere ancestrale fatto di gesti, storie e passione, «trasformando la manodopera invisibile a parte attiva della filiera creativa». Ogni artigiana riceve un supporto completo attraverso il modello SHAPE (social entrepreneurship, human-first, awareness, personal growth ed empowerment) che integra formazione, assistenza sanitaria, supporto psicologico e tutela dell’infanzia in un ambiente comunitario e sicuro. «Non è stato semplice strutturare un modello così completo, soprattutto in un contesto come quello del Madagascar, dove mancano spesso infrastrutture e supporto istituzionale», spiega Akbaraly. Ma, aggiunge, la vera sostenibilità comincia dalle persone: «Sappiamo che ogni prodotto venduto non è solo un oggetto: è una vita che cambia. E questo dà senso a ogni sforzo».
Secondo l’imprenditrice, essere trasparenti e responsabili significa «vivere e lavorare con amore per il prossimo. È una scelta interiore, che nasce dal desiderio autentico di riconoscere e rispettare la dignità, il valore e la storia di ogni persona coinvolta». Infatti, l’atelier non adotta subappalti né esternalizzazioni opache ed ogni capo è tracciabile grazie a un QR code che collega il prodotto alla storia dell’artigiana che lo ha realizzato, una loro versione del digital passport. «Sappiamo che ogni prodotto venduto non è solo un oggetto: è una vita che cambia,» dice Akbaraly. Per continuare a garantire trasparenza su tutta la linea di produzione, il brand sta lavorando a un progetto di certificazione per la rafia malgascia, in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente e con partner locali specializzati in conservazione. «La vera trasparenza non è uno strumento di marketing, ma una scelta etica che coinvolge l’intero processo creativo e produttivo». A suo avviso, è solo «partendo dalle radici con onestà, responsabilità e rispetto per ogni elemento che compone la filiera,» che la moda può davvero rigenerarsi.
L’impegno di Akbaraly nel sostenere la filiera tessile è stato riconosciuto anche da realtà come Fendi e Chloé, che hanno scelto di collaborare con Made For A Woman senza snaturarne l’identità, in particolare nella produzione di borse e accessori in rafia. «È stato, allo stesso tempo, una sfida e un’enorme opportunità di crescita: il mondo del lusso ha standard altissimi, tempi stretti e aspettative precise,» racconta Akbaraly. Nondimeno, la questione del greenwashing è ancora molto prevalente secondo l’imprenditrice. In un settore in cui il marketing ha spesso più peso delle pratiche, la trasparenza resta uno degli strumenti più concreti per valutare se un brand è davvero sostenibile. Non basta più raccontare: oggi serve dimostrare, con fatti tracciabili, responsabilità condivisa e attenzione reale verso chi produce. E forse è proprio qui che il concetto di lusso può davvero cambiare: non più esclusività, ma impatto. Non solo per chi compra, ma anche per chi crea. Non a caso, è stato proprio questo l'approccio che ha portato Eileen Akbaraly a essere inclusa nella lista Forbes Africa 30 Under 30, tra le giovani personalità più influenti del continente.