A Guide to All Creative Directors

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Phoebe Philo ha curato il settimanale del Financial Times

La testata ha affidato alla designer il ruolo di editor, esaltandone l’attitudine curatoriale

Phoebe Philo ha curato il settimanale del Financial Times  La testata ha affidato alla designer il ruolo di editor, esaltandone l’attitudine curatoriale

Phoebe Philo è una dei designer più influenti del ventunesimo secolo, una creativa che è stata in grado di creare un linguaggio potentissimo che mette al centro l’intelligenza, l’ironia pungente e l’arte contemporanea. Philo ha inaugurato una stagione della moda meravigliosa, fatta di empowerment femminile senza bisogno di urlare, superando con un elegantissimo salto in avanti lo stereotipo ancora oggi incredibilmente persistente del power dressing che ci trasciniamo dagli anni Ottanta. Non servono spalle imbottite per affermare l’autorevolezza di una donna in posizioni di rilievo: si può essere colte e femminili senza forzature. Non a caso, The Gentlewoman le ha dedicato la copertina del suo iconico (e ormai rarissimo) primo numero, nel 2010. Negli anni la designer ha ispirato un’intera generazione, sia per le scelte personali — come quando nel 2006 lasciò Chloé per dedicarsi alla famiglia e nel 2017 fece lo stesso con Celine — sia per la sua eredità stilistica, che continua a generare nuovi talenti, da Daniel Lee ad Adrian Appiolaza. Per il primo di maggio del HTSI - How to Spend It, rivista del Financial Times dedicata al lusso, all’arte e alla cultura, Philo è protagonista con un’edizione da lei interamente curata in veste di editor.

Il ruolo di editor per una rivista come HTSI appare naturale per Phoebe Philo: la sua visione è curatoriale, e il suo costante dialogo con l’arte contemporanea colloca naturalmente moda e arte nello stesso mondo. Un esempio perfetto è la collezione SS17 di Celine, per la quale collabora al set della sfilata con Dan Graham, uno degli architetti e artisti concettuali più influenti al mondo. Il risultato è un’operazione spaziale in cui la collezione entra in perfetto dialogo con l’opera. Nel numero di maggio di HTSI, scrive nella lettera della editor: «Le persone che ho scelto di presentare in questa rivista si dedicano tutte con passione alla loro vocazione. Sono persone che ammiro per il loro talento, la loro conoscenza, la loro disciplina, la loro complessità e la loro competenza distintiva... Sono brillanti e fedeli a se stessi. Sono onorata di condividere questa brillantezza con tutti voi. Sentirsi bene significa pensare oltre che guardare». Sembra, ancora una volta, uno statement per sottolineare la sua essenza e la sua cooperazione con il mondo della cultura. Lei, che non ha mai avuto un profilo Instagram, parla di abiti, vocazione e competenza in un momento in cui tutti questi elementi sono sopraffatti dal racconto egocentrico del sé e dalle immagini, più che dalle proprie pratiche.

Infatti in questo numero seleziona moltissime voci che, oltre ad accompagnare il suo lavoro come silenziosa esperienza, influenzano anche il suo atteggiamento critico al sistema, pur facendone parte completamente. Sceglie infatti Andrea Fraser, che di solito non è avvezza a farsi intervistare, che addirittura si fa fotografare con i capi dell’ultimo progetto della designer, che porta il suo nome. Fraser è una figura centrale quando si parla di quella che viene definita Institutional Critique; le sue operazioni indagano le economie sociali, finanziarie e affettive delle organizzazioni e delle persone all’interno del mondo della cultura. Fraser dice: «Sto sempre cercando di capire come inserirmi», una dichiarazione che fa trasparire sì il rapporto che l’artista ha con i capi, ma anche con la nudità, spesso presente nei suoi lavori. L’intervista condotta dalla sociologa Sarah Thornton viene accompagnata da una serie di scatti della fotografa Talia Chetrit, che lavora da molto tempo con Philo e firma anche le campagne delle collezione di PHOEBE PHILO, usando come modella la stessa Fraser, che mima esattamente le stesse pose delle modelle. 

Troviamo inoltre tantissimi personaggi fondamentali per la sfera artistica e musicale contemporanea, come l’ultima intervista a Koyo Kouoh, curatrice della Biennale d’Arte di Venezia 2026 scomparsa prematuramente il 10 maggio, pochi giorni dopo l’uscita della rivista. La sua morte ha lasciato un enorme vuoto nel mondo dell’arte e un punto interrogativo sulla prossima manifestazione veneziana. Per finire, l’intervista a Mati Diop (regista franco-senegalese) che riflette, in dialogo con Dev Hynes (musicista e produttore noto anche come Blood Orange e Lightspeed Champion), sul suo cinema come atto politico e poetico, volto a ricentrare lo sguardo sul continente africano. «Sogno i miei film in modo molto profondo prima di realizzarli, ed essi rimangono con me», afferma Diop, spiegando come ogni progetto nasca da una lunga gestazione interiore. Con l’intento di «reset the gravity axis of desire», Diop rivendica un nuovo baricentro per il desiderio e l’immaginario. Un vero designer e progettista di moda è, prima di tutto, un curatore oggi. Come si vede in questo esercizio editoriale, Phoebe Philo è perfettamente in grado di tenere banco e accorpare sotto lo stesso oggetto affascinanti dialoghi e coerenza progettuale.