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Perché l’incertezza dell’economia cinese fa paura alla moda

In quadro confusionario e diviso, la moda guarda ai paradisi fiscali di Hong Kong e Macao

Perché l’incertezza dell’economia cinese fa paura alla moda In quadro confusionario e diviso, la moda guarda ai paradisi fiscali di Hong Kong e Macao

Ieri il giovane e popolare designer cinese Calvin Luo ha annunciato la sospensione graduale di tutte le attività aziendali a partire dal primo trimestre del 2025. Fondato nel 2014, il brand era considerato il rappresentante di una nuova schiera di giovani designer cinesi capaci di affacciarsi e trovare successo anche nel mondo occidentale, come successo di recente a Mark Gong e testimoniato dal crescente successo della Shanghai Fashion Week. In un annuncio ufficiale, Luo non avrebbe parlato di problemi economici dicendo di non voler «rimanere in questo ciclo intenso dell'industria indefinitamente». Non di meno, l'annuncio ha colto di sorpresa molti, dato che CalvinLuo aveva già raggiunto traguardi significativi, tra cui la presentazione a New York e Parigi e la collaborazione con oltre 300 boutique in tutta la Cina. Nonostante questo successo, Luo ha indicato il ritmo implacabile e le crescenti pressioni nella gestione del marchio come fattori principali che hanno influenzato la sua decisione. Questa notizia ha messo in luce le sfide affrontate dai giovani designer cinesi che devono navigare in un ambiente commerciale frenetico e affrontare una competizione sempre più intensa. Ma è quasi impossibile che in questa decisione non abbia influito lo strano momento che la Cina sta attraversando dal punto di vista finanziario. Da mesi, i report finanziari di gruppi della moda europea indicano nell’arresto delle spese folli dei clienti cinesi la principale causa dei loro problemi. In effetti, due giorni fa un articolo di Bloomberg esordiva dicendo che «il miracolo economico della Cina sta finendo» e i dati economici sul primo trimestre dell’economia nazionale risalenti alla settimana scorsa dipingono un quadro ineguale.

La situazione economica del paese appare vasta, sfumata e complessa: l'economia è cresciuta del 5,2% nel 2023, un miglioramento rispetto alla crescita del 3% registrata nel 2022 ma comunque una delle performance più deboli degli ultimi trent'anni per la seconda economia più grande del mondo. Sempre leggermente al di sotto delle previsioni sono gli investimenti in beni fissi, aumentati del 4,5%, mentre sono diminuiti bruscamente gli investimenti immobiliari, crollati del 9,8% su base annuale. Un dato grave per la classe media dato che il 70% della ricchezza delle famiglie cinesi è legata al settore immobiliare. Le nuove vendite immobiliari sono crollate del 27,6% nel primo trimestre, mentre i prezzi delle nuove case in 70 città sono diminuiti rapidamente del 2% a marzo rispetto a un anno prima, secondo i calcoli di Goldman Sachs basati sui dati del NBS. Nonostante un tasso di disoccupazione urbana al 5% e il rallentamento della spesa dei consumatori, la produzione industriale ha mostrato una buona crescita, aumentando del 6,7% su base annua ad aprile e superando le aspettative degli analisti. Grazie a diversi incentivi di rottamazione, le vendite al dettaglio sono cresciute del 4,7% tra gennaio e marzo, specialmente nel caso di elettrodomestici e automobili ma anche di attività sportive, intrattenimento, sigarette e alcolici e ristorazione. Eppure la fiducia dei consumatori rimane cauta a causa delle incertezze riguardanti il reddito futuro e altri fattori economici. 

L'ambiguità delle interpretazioni

@bloombergbusiness Even high earners in #China with six-figure #salaries are cutting back on their #spending — and it’s not good news. What’s fueling their concerns and what does this mean for the country’s #economy — Allen Wan explains. #money original sound - Bloomberg Business

La forza del settore industriale mostra un disallineamento tra l'andamento del settore, sostenuto anche dal governo, e la debole spesa dei consumatori. «I produttori stanno facendo il grosso del lavoro, mentre le famiglie restano ai margini», ha detto Harry Murphy Cruise, economista presso Moody’s Analytics a CNN. «Le prospettive di crescita a medio termine dipendono dall'ampliamento dei fattori di crescita dell'economia», ha proseguito Cruise. «Se i funzionari non riescono a convincere le famiglie ad allentare i cordoni della borsa, l'economia rischia di avere troppe uova in un solo paniere». Per contesto: la Cina ha fissato un obiettivo di crescita annuale di circa il 5% per il 2024. Per arrivarci, le autorità hanno ridotto i tassi di interesse per stimolare i prestiti bancari e accelerato la spesa del governo centrale per i progetti infrastrutturali. Per questo gli investimenti in beni fissi, come fabbriche, strade e reti elettriche, sono aumentati, come si diceva sopra. Ad ogni modo, questi dati e queste doppie velocità di crescita hanno diviso l’opinione pubblica, specialmente in America dove i rapporti con la Cina non sono mai troppo distesi. 

Secondo Anne Stevenson-Yang, che è la co-founder of J Capital Research oltre che un’autrice, «con il mercato immobiliare che sta implodendo, il governo […] ha iniziato a propagandare una ripresa dei consumi interni, ma molti cinesi stanno semplicemente […] accumulando beni come l'oro contro un futuro incerto. Il governo sta quindi tornando a puntare sul settore manifatturiero». Ma allo stesso tempo «le amministrazioni locali hanno preso prestiti a dismisura, ma senza un vero e proprio piano per restituire il denaro. Ora molti sono così indebitati che sono stati costretti a tagliare servizi di base come il riscaldamento, l'assistenza sanitaria per gli anziani e le linee di autobus. Gli insegnanti non vengono pagati in tempo e gli stipendi dei dipendenti pubblici sono stati abbassati negli ultimi anni. Milioni di persone in tutta la Cina stanno pagando mutui per appartamenti che potrebbero non essere mai terminati. Le start-up stanno fallendo e sembra che pochi riescano a trovare lavoro». Ad aprile però i dati sono interpretati diversamente da Nicholas R. Lardy di Foreign Affairs il quale aveva notato che, nonostante le sfide reali, le preoccupazioni esagerate sull'economia cinese non sono supportate dai dati. Entrambe le analisi sono interessanti, ma partono da due assunti diversi: Stevenson-Yang afferma di non credere ai dati pubblicati dal governo cinese, Lardy invece sì e dunque la prima appare forse un po’ catastrofista, il secondo così ottimista da suonare tendenzioso. 

I paradisi fiscali

In mezzo a tanta confusione, i brand hanno messo gli occhi su Hong Kong, un paradiso privo di dazi doganali e imposte di vendita, pieno di milionari e miliardari. Secondo Federica Levato, senior partner e responsabile Emea moda e lusso di Bain & company, che ha parlato a MF Fashion della situazione economica di Hong Kong, alla fine del 2023 «il valore del mercato di beni personali di lusso a Hong Kong si attesta attualmente sui 3-5 miliardi di euro, ancora lontano dal picco di circa 8 miliardi di metà degli anni 2010s, poi progressivamente eroso. La località ha riconquistato il primato di mercato a più alta spesa pro capite per beni di lusso, affermandosi come zona ad altissima concentrazione dei cosiddetti high net worth individual, i clienti con un potere d’acquisto più elevato, nonché come fondamentale destinazione di flussi turistici dalla Cina». Anche Macao, secondo il direttore di Louis Vuitton Pietro Beccari «è incentivata dal governo cinese a creare altre fonti di entrate legate all’entertainment, oltre al gaming. Ci saranno miliardi e miliardi di investimenti. Tanti da Hong Kong si spostano a Macao per il weekend. C’è un legame tra le due città che non c’era prima».