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Qualcuno ci liberi dai talent show sulla moda

Vecchi e sorpassati, ma soprattutto lontani dal mondo della moda di oggi

Qualcuno ci liberi dai talent show sulla moda Vecchi e sorpassati, ma soprattutto lontani dal mondo della moda di oggi

C’è stato un momento nella storia della tv in cui ogni lavoro, hobby o disciplina sembravano essere degni di diventare protagonisti di un talent show. In principio fu la musica, poi la cucina, declinata anche nella pasticceria, passando per il calcio, per poi arrivare alla più generica definizione di “qualcuno con del talento”. La moda, dal canto suo, non è rimasta con le mani in mano, e nel periodo d’oro dei talent si è data da fare con America's Next Top Model (con tanto di versione italiana durata ben quattro stagione) e con Project Runway, condotto dalla coppia formata da Heidi Klum e Tim Gunn - e prodotto da Harvey Weinstein, ma questo è un altro discorso.

Dopo il divorzio di Gunn e Klum con il network proprietario del format i due hanno deciso di trasferirsi, creando il gemello ricco e prodotto da Amazon, Making The Cut, portando avanti la tradizione del talent show di moda anche nell’epoca dello streaming online. Era il 2020 e mentre la moda viaggiava sui social a una velocità inedita rispetto agli anni precedenti, i giganti dello streaming sembravano ignorare la cosa. Al programma targato Amazon ha poi risposto Netflix, che solamente poche settimane fa ha pubblicato la seconda stagione di Next in Fashion, dove dodici designer emergenti si sfidano sotto la guida di Tan France e Gigi Hadid, che ha preso il posto di Alexa Chung dopo la prima stagione.

Il meccanismo è sempre lo stesso: in ogni puntata i partecipanti devono realizzare uno o più abiti in un lasso di tempo sempre più ristretto ispirandosi ogni volta a un tema diverso. I risultati sono in molti casi al limite del presentabile, con i giudici che sembrano costretti a trovare qualcosa di positivo in vestiti che nessuno di loro oserebbe indossare - anche se più di uno continui a ripetere «Me ne devi far avere uno». La colpa non è da ricercare nei concorrenti, spesso scelti con uno occhio alla selezione naturale tanto che bastano pochi minuti per capire chi è lì per caso e chi per provare a vincere, ma in un’idea di base non solo datata, ma anche lontana dai meccanismi del mondo della moda.

Se è vero che il fashion system si muove a ritmi inumani, dare ai concorrenti poche ore di tempo per realizzare un abito a tema Met Gala significa voler offrire a chi guarda un prodotto poco credibile. Lo stesso si può dire quando ai poveri malcapitati in gara viene chiesto di creare una collezione ispirata al mondo della natura utilizzando fiori e piante applicati sugli abiti per un risultato ai limiti del carnevalesco. Nonostante la lunga lista di ospiti chiamati a nobilitare la causa (GabriellaKarefa-Johnson, Donatella Versace, Isabel Marant e Naomi Campbell giusto per citarne qualcuno), difficilmente potremmo dire che programmi come Making The Cut o Next In Fashion fanno un bel servizio al mondo della moda, ma anzi portano avanti quell’idea superficiale e qualche volta grottesca che impera nell’opinione generale.

È strano che due realtà come Amazon e Netflix, non certo la Rai di turno, non riescano a declinare un talent sulla moda in una versione minimamente al passo con i tempi. I social, ad esempio, sono i grandi assenti, soprattutto oggi che il 99% della moda passa dai nostri feed Instagram o dalla pagina For You di TikTok e il successo di un brand si decide a colpi di algoritmo. Ma guardandoci indietro, quanti sono i vincitori che hanno davvero fatto fortuna nel mondo della moda?

Christian Siriano è forse il nome più famoso tra quelli dei vincitori di Project Runway, mentre se guardiamo agli ultimi anni è difficile capire cosa abbiano combinato designer come Jonny Cota o Andrea Pitter dopo aver vinto Making The Cut. Se è vero che l'intrattenimento è cambiato e che i talent show sono ormai da anni nella loro fase discendente, il mondo della moda è entrato ormai da tempo in una dimensione in cui il talento può essere giudicato online da un pubblico sconfinato di potenziali clienti e non da un gruppo di celebrities pagate per esprimere giudizi in un set riempito di comparse. Ma sopratutto, in un sistema moda in cui i designer indipendenti faticano a rimanere a galla che senso ha illudere qualcuno di poter avere successo solamente vincento un talent show?