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Come ha reagito Hollywood all’accordo Netflix-Warner Bros. Discovery? Da James Cameron a Jane Fonda, perché l’industria non è contenta dell’affare del secolo

James Cameron contro Netflix

Qualche giorno prima del futuro accordo Netflix-Warner Bors Discovery, durante il tour promozionale di Avatar - Fuoco e cenere, James Cameron ha commentato una possibile acquisizione da parte dello streamer come un disastro. «Mettono i film in sala per una settimana, magari dieci giorni, solo per potersi qualificare agli Oscar», ha dichiarato al podcast The Town di Matthew Belloni. «È una pratica marcia alla radice. Gli Oscar, per me, non hanno alcun valore se non si porta il cinema in sala». Lo sa bene il regista e sceneggiatore di Kapuskasing, Canada, che per il terzo capitolo della sua saga leggendaria ha speso circa 400 milioni di dollari, un’impresa titanica per cui è normale si aspetti che gli spettatori vadano a vederla sullo schermo più grande possibile.

Anche se è vero che Titanic, progetto di Cameron uscito nel 1997, ha saputo costruirsi una propria mitologia proprio passando almeno una volta all’anno in televisione, quando nel 2023 il film è tornato in sala per i suoi venticinque anni ha svettato sopra le nuove uscite, con un debutto da 120 mila euro cresciuto nei giorni successivi. 

La filosofia consumer-first di Netflix

Un dato, sebbene di un paio di anni indietro, che sembrerebbe in controtendenza con quanto affermato tempo fa da Ted Sarandos, amministratore delegato di Netflix, per cui le sale sono «un modello superato». Lo ha affermato durante il Time100 Summit tenutosi lo scorso aprile 2025 a New York, molto prima del possibile acquisto da parte di Netflix della storica Warner Bros., per un valore di 82,7 miliardi di dollari. «Netflix è un’azienda orientata al consumatore» - facciamoci caso, Sarandos non usa la parola spettatori. «Il nostro obiettivo è offrire i contenuti nel modo in cui il pubblico desidera fruirne». Che, secondo il co-CEO, non corrisponde più ai quarantacinque giorni di tempo che vanno dal rilascio cinematografico a quello in home video e/o streaming. E considerare che, nel corso degli anni, la finestra di tempo si è andata sempre più stringendo, col rischio che l’acquisizione di Warner Bros. da parte di Netflix la renda persino nulla. 

Cosa succede se il passaggio sala–streaming scompare

@whatzaraloves6 Thoughts on whether this is purely aesthetic or a physical media revival??? #physicalmedia #dvdplayers #cdplayer #digitalmedia Bossa Nova jazz that seems to fit in a cafe(1433079) - TAKANORI ONDA

Sempre secondo Sarandos, il pubblico ad oggi vuole guardare i film a casa e in maniera più flessibile, una modalità a cui gli studios e le catene distributive dovrebbero sottostare. Ci sarebbe da dire che, se prometti un titolo sul televisore, è plausibile che lo spettatore preferirà risparmiare i soldi del cinema, visti anche i costi sempre più elevati degli abbonamenti alle piattaforme di streaming. Ma per mantenere l’industria attiva non bisognerebbe tenere vivo l’interesse, proprio non promettendo un passaggio così ravvicinato dal grande schermo al piccolo? Non si potrebbe restituire centralità alla sala, pensando all’intera filiera e non soltanto al proprio orticello?

Questa visione si scontra con l’unico desiderio di profitto di Netflix e associati, disposti a un accordo da capogiro con soldi che potrebbero invece investire per opere migliori, di maggior rilevanza e per proseguire serie impunemente cancellate a causa della mancanza di lungimiranza nella scelta dei titoli originali della propria library. Sul fronte distributivo, ci sarebbe poi da aprire un discorso sulla pirateria, che incide - anche di parecchio - sui modi di fruizione del pubblico.  

Jane Fonda lancia l’allarme

Hollywood e dintorni non hanno mancato di farsi sentire. Tra i primi a denunciare il rischio del monopolio verso cui si stava andando incontro è stata l’attrice e attivista Jane Fonda, la quale, durante una riflessione con The Ankler ha espresso perplessità e ripercussioni che una simile fusione potrebbe comportare. Proprio come Cameron, anche le dichiarazioni di Fonda sono antecedenti alla notizia della possibile acquisizione da parte di Netflix, in quanto secondo l’interprete il futuro del settore audiovisivo sarebbe in pericolo a prescindere da quale dei player riuscirebbe ad accaparrarsi la Warner Bros. Discovery, la quale deve vendere a causa di un ingente debito maturato nel corso degli ultimi anni. 

«Un consolidamento di questa portata sarebbe catastrofico per un settore fondato sulla libertà di espressione, per i creativi che lo alimentano e per i consumatori che dipendono da un ecosistema mediatico libero e indipendente per capire il mondo. Significherebbe avere meno posti di lavoro, meno opportunità di vendere le opere, incorrere in meno rischi creativi, avere meno fonti di informazione e molta meno diversità nelle storie che gli americani ascoltano», ha affermato Fonda a The Ankler. «Per attori, sceneggiatori, registi, montatori, designer, animatori e troupe già in lotta per il lavoro, la fusione ridurrà la domanda delle loro competenze. E quando solo una manciata di mega-aziende controlla l’intero processo, questa acquisisce il potere di schiacciare ogni corporazione, rendendo più difficile per i lavoratori contrattare, difendersi e guadagnarsi da vivere»

Per concludere, ribattendo sugli aggravanti economici, l’interprete sottolinea anche le ricadute politiche e sociali: «Ciò che mi terrorizza, e dovrebbe terrorizzare chiunque abbia a cuore la società libera, è il modo in cui questa amministrazione ha utilizzato le fusioni previste come strumenti di pressione politica e censura». Se i toni di Jane Fonda sembrano a propria volta catastrofici, fotografano un quadro veritiero e allarmante di un’industria sul lastrico. La riduzione degli apparati creativi, l’aumento dei costi e la diminuzione del tempo tra uscita in sala e rilascio domestico potrebbero dare il colpo finale all'intero settore

La DGA di Nolan, i registi e il fronte anti-acquisizione

Anche la DGA (Directors Guild of America) di cui è presidente Christopher Nolan, si è presto attivata chiedendo un incontro con Netflix, mentre alcuni registi hollywoodiani hanno inviato una lettera ai deputati democratici e repubblicani del Congresso statunitense affinché intervengano per salvaguardare le sorti del cinema. Le stesse su cui il presidente Donald Trump ha ragionato - ma solo per problematiche antitrust, non per vero interesse per l'arte. 

Se Netflix dovesse farcela, pur con lo spettro non per questo più edificante di un’acquisizione da parte di Paramount Skydance, le cose potrebbero farsi più tese sotto la grande scritta losangelina di Hollywood. A dissentire sulle parole di James Cameron sullo streamer, pur con grande rispetto, è stato il Joel Edgerton protagonista e produttore esecutivo del Train Dreams della piattaforma. L’attore australiano ha infatti detto che non bisognerebbe demonizzare i titoli originali Netflix, perché non tutti hanno la possibilità di approdare in grandi studios per sviluppare le proprie idee. Il che è assolutamente sensato e corretto se non fosse che, come Cameron ha affermato, lo stesso film di cui è il personaggio principale, diretto da Clint Bentley che ha scritto insieme a Greg Kwedar, non fosse passato in sala solo per arrivare lì tra i nominati ai Critics Choice e i Golden Globe, puntando agli Oscar. Train Dreams è uscito anche in Italia, ma nessuno lo ha saputo. Nella capitale, lo ha proiettato un solo cinema, il Nuovo Olimpia.

Che Netflix pensi più al proprio tornaconto che ai suoi «consumatori» non sembra un’analisi poi così errata, e perciò non dovrebbe esserlo nemmeno vedere nella propria acquisizione di Warner Bros. Discovery l’inizio di una lenta, magari momentanea, ma in qualche modo prevedibile (e speriamo breve) fine.