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Il vero prezzo del vostro maglione di cashmere economico

Come il finto lusso del cashmere a buon mercato sta distruggendo il paesaggio della Mongolia

Il vero prezzo del vostro maglione di cashmere economico Come il finto lusso del cashmere a buon mercato sta distruggendo il paesaggio della Mongolia

Oggi, il giornalista indipendente Derek Guy, penna di svariate pubblicazioni oltre che del suo blog Die, Workwear, ha illustrato in un thread su Twitter intitolato How to buy a good cashmere sweater, come la recente proliferazione di maglioni di cashmere a buon mercato abbia portato significativi cambiamenti nel paesaggio naturale della Mongolia, dove l’allevamento delle capre del Kashmir ha effettivamente cambiato il volto di intere regioni. Lo spunto di partenza del thread era proprio la domanda di un utente che chiedeva quale fosse la differenza tra i maglioni di cashmere da migliaia di dollari e quelli di pochi euro. Per conoscere questa differenza vi invitiamo a leggere per intero il thread – sembra doveroso però, dopo averlo letto, approfondire la questione della sostenibilità del cashmere economico che, in effetti, ha iniziato a circolare praticamente ovunque nel mondo fast fashion. Nel 2019 l’agenzia italiana Parallelo Zero ha pubblicato uno studio di nome The high price of cashmere in cui si può leggere che «in Mongolia, il 70% delle praterie è stato danneggiato dal pascolo eccessivo delle capre da cashmere. Il numero di capre allevate per la loro preziosa lana è quadruplicato negli ultimi vent'anni: il fatto che le capre mangino le radici dell'erba rende molto più difficile la ricrescita. La Mongolia è il secondo produttore mondiale di cashmere grezzo [e] vende il 90% del prezioso materiale alle aziende cinesi». 

Le cose, prosegue lo studio, sono diventate anche peggiori a causa del riscaldamento climatico: «in inverno le gelate decimano il bestiame e d'estate il caldo provoca inesorabili danni ai pascoli» si legge. L’aumento delle temperature di circa due gradi negli ultimi settant’anni, tra l’altro, ha finito anche per alterare la cultura nomadica delle popolazioni del luogo, in un curioso caso in cui le conseguenze ambientali diventano anche antropiche. La situazione ha finito per avvitarsi in una spirale fuori controllo che ha anche causato la polarizzazione dei prezzi del materiale che possono essere relativamente economici o costosissimi. Un altro studio di nome Fibre Briefing pubblicato da Common Objective e citato in un documento del 2017 pubblicato dal CFDA spiega: «Più capre significano più pascoli, che a loro volta portano al degrado delle praterie. Il risultato è una capra denutrita con peli più grossi, che fa diminuire l'offerta di cashmere di alta qualità. Per compensare il mancato guadagno, i pastori allevano mandrie più grandi, facendo ripartire il ciclo». È implicito qui che la diminuzione dell’offerta di cashmere di qualità ne abbia anche elevato il prezzo, senza contare come la maggior parte dei brand di lusso stia investendo proprio in questi anni nel rendere pienamente trasparente la propria catena di approvvigionamento sia attraverso la tecnologia Near-field Communication (NFC) che consente di verificare la provenienza dei materiali attraverso delle etichette dotate di microchip sia attraverso degli accordi di trasparenza come il Framework Agreement di Brunello Cucinelli, l’impegno preso da Zegna di avere una filiera pienamente tracciabile entro il 2024 o il “metodo” sviluppato da Loro Piana insieme a università cinesi e italiane oltre che a enti europei o il Sustainable Cashmere Project promosso dal gruppo Kering.

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È dunque una questione di ritmi e di equilibri tra elementi umani, ambientali e soprattutto politici (nel 2015 ad esempio la Cina ha regolato gli acri disponibili per l’allevamento delle capre del Kashmir mentre queste misure hanno trovato applicazioni più sparse e discontinue in Mongolia e India) considerato che il danno ai pascoli non è irreparabile ma richiede comunque moltissimo tempo per tornare alla normalità. La ricercatrice Bulgamaa Densambuu scriveva l’anno scorso che «le modifiche alla gestione del pascolo potrebbero portare al recupero, o al progresso verso il recupero, entro dieci anni».  Mentre una possibile soluzione, già implementata da brand come Patagonia e Stella McCartney, è quella del cashmere riciclato che sicuramente, con l’avanzare delle tecnologie di fabbricazione, potrà diventare una soluzione circolare e anche economicamente conveniente per il futuro. Nel frattempo, come sempre, in un’epoca in cui, per tornare a Derek Guy, «tutto questo è il risultato del tentativo di alimentare un mercato che vuole un prodotto di lusso a un prezzo inferiore» bisogna combattere il sistema dello sfruttamento capitalistico aggirandolo: riciclaggio e circolarità sono la risposta, ma ancora di più lo è la consapevolezza di quale sia il vero prezzo del cashmere economico.