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L'anonimato è una scelta vincente nella moda?

Tutte le star senza volto della fashion industry

L'anonimato è una scelta vincente nella moda?  Tutte le star senza volto della fashion industry

Phoebe Philo una volta disse: «Non c'è cosa più chic di una persona di cui non c'è traccia su Google, mi piacerebbe molto essere quel tipo di persona». In un'epoca in cui ogni cosa, dalla data di nascita all'ultimo acquisto, viene condivisa così liberamente online, il fascino dell'anonimato può rivelarsi vincente, come nel caso dello stilista belga Martin Margiela, il più famoso dei misteri della moda. Erano gli anni '80 e il fashion system era dominato da edonismo e opulenza grazie alle sfilate dai look eccessivi e all'ascesa delle top model, quando, nel 1988, Margiela ruppe ogni schema con la sua prima collezione personale. In netto contrasto con lo sfarzo e il glamour delle altre maison, con persone comuni che si mescolavano alle modelle, l'approccio spoglio e disadorno dei suoi show fu una boccata d'aria fresca per il pubblico dell'epoca. Ancora oggi, Margiela rifiuta di farsi fotografare, tant'è che un'immagine indimenticabile di dipendenti in camice bianco che posano accanto a una sedia vuota, presumibilmente a simboleggiare lo stilista che tanto rifiuta apparizioni pubbliche, è radicata nella cultura del brand. 

Forse voleva semplicemente vivere una vita lontana dai riflettori e dalla macchina del marketing, ma in ogni caso sembra che il marchio abbia beneficiato dell'"effetto Margiela". Il primo libro che documenta il lavoro della maison è stato pubblicato nel 2009 e presenta un'appendice esterna ricoperta di frasi sullo stilista: "Chi è quel tizio di cui tutti parlano?". Sembra che il mito e il fascino di Margiela non facciano altro che attirare il pubblico sempre di più e forse è per questo che la sua aura misteriosa è rimasta intatta per così tanto tempo. Uno stilista che sembra aver trovato l'equilibrio perfetto tra fama e anonimato è invece il fondatore di Aimé Leon Dore, Teddy Santis. Conquistare il mondo della moda in giovane età avrebbe portato molti a sfruttare la propria fama e fortuna nel tentativo di accrescere la propria ricchezza e la risonanza della propria immagine, ma l'approccio di Teddy è leggermente diverso. Basta cercare il suo nome su Google per trovare interviste e, a differenza di Margiela, anche fotografie, mentre sul suo feed di Instagram troneggia la scritta "ancora nessun post" e il suo atteggiamento assente nei confronti del mondo online non fa che accrescerne il fascino.

La possibilità di fare carriera diventando riconoscibili per le masse è riuscita ad attrarre molti verso il crescente "culto degli influencer". Sembra che, a patto di essere esperti di social media marketing, anche le persone prive di talento possano sfondare, ma, nonostante l'aspetto perfettamente curato, avere i riflettori del mondo online puntati addosso può comportare delle difficoltà. Essendo la generazione "più depressa" della storia recente, la Gen Z sta sacrificando la propria privacy all'altare della fama e del denaro. Durante la pandemia, poi, la cultura degli influencer ha raggiunto il suo apice: affamati di attenzione e isolati, ci siamo rivolti al mondo online per ricordarci che esiste ancora qualcosa al di fuori della nostra camera da letto. Tuttavia, a distanza di due anni, la novità delle nostre vite digitali sembra essersi esaurita e l'ascesa di pagine di "creatori anonimi" ha dato alla piattaforma un nuovo trend di profili di successo: i curator senza volto.

Account social come @samutaro e @undercoverosh hanno costruito una comunità intorno ai contenuti che condividono e possono accumulare migliaia di like su immagini di qualsiasi cosa, da un orologio Cartier vintage a Polaroid di celebrità iconiche. La loro capacità di costruire un pubblico e uno stile di vita attraverso le immagini si è poi tradotta in riviste cartacee, linee di abbigliamento e podcast. In quanto creatori anonimi, questo offre l'opportunità unica di pubblicare contenuti per un pubblico senza temere il rifiuto o il costante sguardo degli "avvoltoi della cultura dell'annullamento" che spesso scoraggiano i creativi dal condividere il proprio lavoro. Forse si tratta di una moda che alla fine si esaurirà, tuttavia dimostra che l'immagine non sempre costruisce il marchio perfetto e che l'anonimato può essere più desiderabile della fama. Dopotutto un po' di mistero è il miglior modo per non farsi dimenticare.