FUORIMODA REVIEWS – La prima piattaforma online per recensire i fashion show

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Avere tanti follower conta ancora? Per colpa dello slop ora il vero cool è di nicchia

C’è stato un momento, tra il 2013 e il 2020, in cui avere follower significava tutto. Nel senso più superficiale, ovvio, ma se un profilo aveva la spunta verificata e il follower count che finiva in «mila», l’aura di coolness era evidente anche nella vita reale. Si parla degli anni d’oro di Instagram e YouTube, dove i social media non erano stati ancora presi d’assalto dai contenuti short-form e dall’algoritmo, X si chiamava ancora Twitter e persino Taylor Swift interagiva ancora con i suoi fan. Dopo la pandemia però, qualcosa è cambiato, grazie soprattutto all’avvento di TikTok

Rispetto alle altre app, andare virale non è mai stato così semplice, anzi, è diventato estremamente comune. Durante il lockdown bastava un balletto, un trend o un pov per guadagnare milioni di visualizzazioni. È da lì che sono nate le nuove star dell’internet, quelle che nel giro di pochi mesi sono passate dalle camerette a diventare modella dell’anno, come nel caso di Alex Consani, o dalla Hype House alle principali classifiche in giro per il mondo, come nel caso di Addison Rae e Sombr. Però è stata proprio questa destrezza che ha reso avere follower «cheugy».

Le celebrità di nicchia sono le più cool

@slimali__ niche this niche that (mysterious income) #nichetok #fyp #foryoupage I miss 2016 - Jack_Hoey

Oggi la popolarità si misura al contrario, anzi più sei di nicchia, più sei interessante. Le nuove celebrità non hanno milioni di follower, ma poche migliaia, meno di 50k. Postano poco, non si taggano mai, e se lo fanno, è solo per caso (o per soldi). Vivono tra le capitali della moda o viaggiano di continuo, ma il loro appeal sta nel non farlo pesare. In Italia basta pensare all’entourage dei Måneskin, una costellazione di cool kids che si muoveva intorno alla band, postando con apparente disinteresse - una finestra, un tramonto sfuocato ad Ibiza, una foto in flash da un bagno di un club.

Fanno content creation ma non per lavoro, lo fanno per sé stessi, per archiviare momenti, per costruire un «digital scrapbook» (come spesso viene definito) dove non importa se una foto prende 300 like o 30. Negli Stati Uniti questa estetica è già mainstream da fin troppo tempo, forse iniziata dalle primissime celebrità di nicchia, i vecchi hipster. Quelli che popolano Bushwick, il quartiere di Brooklyn passato dall’essere pieno di Italo-americani e POC ad essere il covo dei creativi - nel senso più ampio del termine - dell’emisfero nord.

Il New Yorker lo ha spiegato bene raccontando il caso di Lotta Volkova, stylist e musa di Balenciaga e Miu Miu, una delle figure più idolatrate del fashion system. Nonostante abbia quasi mezzo milione di follower, usa Instagram in modo completamente diverso da quello che ci si aspetterebbe da qualcuno con quel tipo di visibilità, pubblica foto casuali tra un paesaggio qualunque, un dettaglio industriale, una fila di armadietti.

Il fantasma dei follower passati

Se le celebrità di nicchia sono diventate l’indicatore di coolness, è anche perché ci sono profili che si portano dietro i resti di una fama passata, che non si traduce più in rilevanza culturale. Sono i cosiddetti «follower fantasma», milioni di persone che magari continuano a seguire un nome per abitudine, ma che non lo rendono più interessante. Lele Pons, per esempio, una volta considerata regina di Vine, conta ancora più di 50 milioni di seguaci su Instagram, ma la sua presenza online sembra appartenere all’era uber-cringe (non in senso positivo) dell’internet quando bastava fare una faccia buffa davanti alla fotocamera per diventare virali.

Nel frattempo, Gabbriette, considerata una delle principali it-girl della Gen Z, ha appena superato la soglia del milione di follower, eppure il suo peso culturale è di gran lunga superiore.  Anche Charli D’Amelio, che resta la seconda persona più seguita su TikTok, è un esempio di quanto la viralità non basti più. Il suo nome è ancora ovunque, ma la sua figura sembra sempre più sbiadita, come se fosse rimasta ferma in un loop di tendenze finite dove la popolarità è rimasta, ma l’interesse è svanito nell’oblio. 

Lo slop ha invaso l’internet

Di base, il problema è che l’internet come lo conosciamo sta attraversando una delle sue fasi più strane. Con i social che invecchiano, gli algoritmi sembrano impazziti e nei feed compaiono sempre più contenuti fatti dall’AI, ora chiamati «slop» - il brainrot è l’esempio più lampante. Quello che una volta era il grande spazio di connessione globale è diventato un luogo disordinato, popolato da profili falsi e immagini generate che imitano la realtà senza capirla. 

Lo slop non è altro che un sintomo di una rete che ha perso direzione. Le piattaforme, nel tentativo di tenere gli utenti incollati allo schermo con l'algoritmo, hanno finito per spingere qualsiasi cosa possa generare interazioni. Ed è per questo che in un marasma del genere, le personalità di nicchia sono diventate quelle più relatable, quelle che riescono ancora a dare una parvenza di realtà e connettersi con l’audience. 

Come ha scritto il New Yorker, siccome la maggior parte delle persone ormai non sceglie cosa guardare, la popolarità è diventata facile da costruire, quasi economica e non serve più conquistare un pubblico vero, basta capire come ingannare il sistema. Il risultato è un internet sempre più pieno, ma sempre più vuoto. È questa la ragione per cui le microcelebrità, quelle con pochi follower, risultano autentiche e cool, perché riescono - in maniera seppur costruita - a dare ancora un senso di originalità all’internet.