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Ha davvero senso prendersela con Loro Piana per il parka di Putin?

A volte sono davvero solo vestiti

Ha davvero senso prendersela con Loro Piana per il parka di Putin? A volte sono davvero solo vestiti
La collezione di scarpe di Imelda Marcos | via: Vice
La collezione di scarpe di Imelda Marcos
La collezione di scarpe di Imelda Marcos
La collezione di scarpe di Imelda Marcos
Imelda Marcos e la sua collezione di scarpe | via: Vice

Una delle più recenti controversie riguardo la guerra in Ucraina che i media hanno alimentato negli ultimi giorni è stata quella sul parka di Loro Piana indossato da Putin durante un comizio allo Stadio Olimpico di Mosca. Secondo varie fonti, il parka potrebbe essere stato acquistato addirittura nel 2013 anche se Pier Luigi Loro Piana, nel parlare con la stampa ha giustamente detto «non sappiamo a quando risalga l’acquisto». Ad ogni modo il brand ha dovuto affrontare la classica shitstorm da parte degli “attivisti” social che hanno riempito la sezione commenti del profilo Instagram, incolpando per associazione Loro Piana in maniera del tutto arbitraria. Inutile dire che Pier Luigi Loro Piana, che citavamo sopra, ha preso le distanze da Putin sottolineando nel suo messaggio il vero motivo per cui indignarsi: «Siamo assolutamente contrari a questa guerra e di certo non era opportuno che il presidente russo si presentasse in pubblico con un capo di abbigliamento di alta gamma mentre anche il popolo russo è in difficoltà economiche per via delle sanzioni. […] Ci siamo trovati di fronte a una pubblicità di certo non piacevole mentre in realtà stiamo aiutando il popolo ucraino». La dichiarazione è giustissima – ma sorprende che le dinamiche del discorso sui social media siano diventate così astratte dalla realtà che un brand debba scusarsi o giustificarsi solo perché un autocrate, anni fa, ha acquistato un suo prodotto. In questa vicenda Loro Piana non ha semplicemente responsabilità, non può averne, è un’azienda che vende vestiti – e dunque non solo non dovrebbe essere chiamata a dissociarsi da Putin, cosa di per sé scontata e ovvia, ma nemmeno vedere i suoi canali social intasati da rimostranze del tutto inutili. 

Non è la prima volta, durante questa guerra, che un brand di lusso fa capolino indosso agli esponenti del lato sbagliato del conflitto: a fine febbraio Ramzan Kadyrov, capo della Repubblica Cecena oltre che criminale di guerra responsabile di morti e torture, ha effettuato un discorso indossando un paio di stivali Monolith di Prada. Sempre di recente, poi, mentre i vari Stati Europei congelavano gli asset degli oligarchi russi in Occidente, i media hanno portato la loro attenzione su quel milieu di ultra-ricchi, rampolli multimilionari, ereditiere in perpetua vacanza che orbita intorno al governo russo. Il pubblico si sorprende che questi politici e ultraricchi, nonostante la propria apparente lontananza dalla filosofia di vita dell’occidente capitalistico, acquistino beni di lusso. E si sorprendono anche quando certe figure che rappresentano valori politici controversi, incondivisibili e persino retrogradi o sbagliati, indossino brand che, in patria, sono associati a valori democratici e progressisti. 

Imelda Marcos e la sua collezione di scarpe | via: Vice
La collezione di scarpe di Imelda Marcos
La collezione di scarpe di Imelda Marcos
La collezione di scarpe di Imelda Marcos
La collezione di scarpe di Imelda Marcos | via: Vice

Ma il fatto è che tutti gli oligarchi e tiranni della storia hanno acquistato beni di lusso - basti pensare ai 1060 paia di scarpe di qualunque brand di moda pensabile possedute da Imelda Marcos, moglie del dittatore delle Filippine, Ferdinand Marcos; o a Teodorin Obiang, figlio del presidente della Guinea Equatoriale che, secondo Reuters, nel 2004 spese 80.000 dollari da Gucci e altri 50.000 da Dolce & Gabbana in un solo giorno quando si trovava negli USA. Queste spese in realtà vengono giudicate più gravi quando riguardano brand di moda, ma comprensibili quando si parla di altri beni di lusso: nessuno si è indignato per i Rolex di Gheddafi o per il Patek Philippe di Saddam Hussein, così come nessuno si indigna quando auto sportive di lusso dei brand più noti al mondo vengono sequestrate ai mafiosi. Il fatto è che è impensabile che qualunque brand di lusso, di moda o no, debba essere ritenuto responsabile dei propri clienti, del loro carattere morale o della loro fedina penale. Dopo tutto gli stessi valori liberali che l’Occidente rappresenta consentono che, in un libero mercato, qualunque consumatore faccia acquisti in base alla propria disponibilità economica – autocrati russi inclusi. E gli stessi giornali che hanno sollevato un ambiguo polverone intorno a Loro Piana hanno anche lamentato la perdita dei milioni di euro provenienti dai top spender russi che vengono a fare le vacanze in Italia prenotando suite di lusso e facendo shopping in Via del Corso, nel Quadrilatero della Moda o a Porto Cervo.

E se è giusto che i designer di moda siano sempre più politicizzati, è anche vero che quello di politicizzare il proprio lavoro è un diritto dei designer - che possono anche scegliere di non esercitarlo. Così come le colpe dei padri non ricadono sui figli, le colpe dei clienti non ricadono sui brand. L’intera vicenda, in breve, porta a riflettere sul come si sia arrivati in una situazione culturale tale per cui delle aziende multinazionali che vendono abbigliamento di alta gamma siano obbligate o si sentano tenute a manifestare i propri orientamenti o schieramenti politici – e questo non per dire che i brand non dovrebbero occuparsi di attivismo o beneficienza, tutte cause lodevoli, ma che il clima culturale che li obbliga ad affrettarsi e prendere posizione rispetto a certe issue dovrebbe forse cambiare e smettere di creare inutili pressioni mediatiche. Dopo tutto, quale brand di moda oggi dichiarerebbe mai di appoggiare Putin? Che altro potrebbero fare i brand se non dissociarsi da un dittatore allo stesso modo in cui un cittadino qualunque dichiarerebbe di essere generalmente contrario al crimine? Che cosa si aspetta di preciso il pubblico? Rendere la moda un’industria più inerentemente morale è, per sua stessa definizione, una cosa buona eppure investire i brand di un’importanza politica che non possiedono, aspettandosi da loro grandi dichiarazioni non è la maniera di rendere l’industria del lusso un posto migliore. La moda, ricordiamolo, si occupa di vendere vestiti. Proprio come Vladimir Putin potrebbe entrare in una boutique e comprare tutto quello che vede, così può farlo chiunque altro se lo possa permettere – il lavoro dei brand è di invogliare e servire i clienti, non di giudicarli “moralmente degni” di indossare i loro prodotti.