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Cosa racconta il menswear della nostra cultura?

Ne abbiamo parlato con Jacob Gallagher, columnist del WSJ e autore del libro "The Men's Fashion Book"

Cosa racconta il menswear della nostra cultura? Ne abbiamo parlato con Jacob Gallagher, columnist del WSJ e autore del libro The Men's Fashion Book
Raf Simons FW99
Ziggy Chen FW21
Yohji Yamamoto FW15
Thom Browne SS16
Prada FW09
Martin Rose FW21
Junya Watanabe SS06
Helmut Lang SS98
Gucci FW95
Ermenegildo Zegna SS10
Dries Van Noten FW16
Dior Homme SS20
Dior Homme SS02
Comme des Garçons Homme Plus FW16
Celine SS21
Balenciaga Couture FW21
Giorgio Armani SS90

Si può guardare all’abito maschile come al barometro dei macro-cambiamenti culturali. Ci sono generazioni che hanno scartato o adottato il proprio abbigliamento in base a ciò che indossavano i loro padri: negli anni '50 gli uomini indossano completi e poi nella generazione successiva smisero di usarli, mentre negli anni '70 c'è stato un revival di un diverso tipo di silhouette che è scomparsa negli anni '80 per tornare negli anni '90 con Giorgio Armani e con una nuova interpretazione del lusso

Mi spiega Jacob Gallagher in una zoom call a un oceano di distanza. Leggere la società attraverso l’evoluzione del menswear e mappare la ragnatela fittissima di intrecci, reference e influenze è l’ambizioso obiettivo di The Men's Fashion Book, volume edito da Phaidon realizzato in collaborazione con Gallagher, Men’s Fashion Editor del Wall Street Journal. “L’obiettivo di fornire una sorta di visione aerea, come quella di una galassia, per mostrare come un designer lavori nel corso del sovrapporsi degli eventi” è restituita anche dalle dimensioni fisiche e dall’organizzazione enciclopedica del libro: 500 voci disposte in ordine alfabetico che comprendono 130 designer, 100 brand, 70 icone, 40 fotografi, 40 designer di scarpe e accessori, 30 reseller, 25 stilisti, editori e scrittori, 20 sarti, 15 pubblicazioni, 15 modelli e 10 illustratori, oltre a direttori artistici, influencer, modelli e designer tessili. “Ma ogni voce è collegata ad altre: Supreme è collegata a Stussy e a Comme des Garçons”, ci tiene a sottolineare Gallagher. 

Il metodo di osservazione del libro sembra parafrasare una famosa quote di Mourinho: «Chi sa solo di moda non sa niente di moda». E in effetti i codici estetici della moda maschile secondo Jacob «si sono sempre basati sulla maniera in cui le persone nel mondo si vestono, sia che si tratti di workwear, di abiti militari o di sartoria seguono tutti un codice prestabilito e delle regole, per così dire». A differenza della moda femminile che è storicamente più legata alla passerella e all'aspirazionalità degli abiti, il menswear «ha sempre intrattenuto un dialogo con ciò che le persone indossavano per la strada» e oggi la cultura nelle società occidentali sta vivendo un momento storico in cui la ridefinizione di mascolinità e dei suoi ruoli codificati è al centro del dibattito pubblico. Il compito della moda è quello di specchiare e accelerare questi cambiamenti. Dall’outfit da sposa di ERL indossato da Kid Cudi ai CFDA fino alla cover di Vogue di Harry Styles, la moda contemporanea sta diventando uno strumento per raccontare la nuova mascolinità, influenzando allo stesso tempo il dibattito intorno a questi argomenti. Ci sono poi gli eventi esterni che cambiano la percezione di cosa è “formale” o “elegante”: la pandemia ha chiaramente ridefinito la divisa di lavoro di un numero enorme di persone cambiando la «maniera in cui percepiamo, ad esempio, i pantaloni della tuta, che per moltissimo tempo sono stati considerati un abbigliamento esclusivamente sportivo». 

Giorgio Armani SS90
Gucci FW95
Helmut Lang SS98
Raf Simons FW99
Dior Homme SS02
Junya Watanabe SS06
Prada FW09
Ermenegildo Zegna SS10
Yohji Yamamoto FW15
Thom Browne SS16
Dries Van Noten FW16
Comme des Garçons Homme Plus FW16
Dior Homme SS20
Celine SS21
Balenciaga Couture FW21
Martin Rose FW21
Ziggy Chen FW21

Guardando sempre al completo maschile come barometro del menswear ad esempio, nelle ultime collezioni prima della pandemia si poteva notare un ritorno dell’abito formale con forme e tagli più rilassati. Un tipo approccio alla mascolinità e allo status symbol dell’abito radicalmente diverso rispetto ai taglienti vestiti degli anni ’90 o a quelli esagerati degli anni ’80. Gallagher tuttavia sottolinea la ciclicità di questi trend. «Direi che, mentre scrivevo il libro, ho avuto l’impressione che non ci fosse nulla di nuovo sotto il sole: Alessandro Michele da Gucci è riuscito a reindirizzare in modo incredibile ciò che la moda maschile può essere e ciò che può essere definito mashcile, ma prima di lui c’era già stato il designer inglese Micheal Fish che aveva creato abiti androgini per David Bowie negli anni ‘60 e ‘70».

Un tema - quello della ciclicità e della nostalgia - che secondo l’autore è tornato oggi ad essere uno dei main drive dell’industria, spostando il focus dall’ansia delle release verso la ricerca d’archivio «Depop per esempio ha contruibuito ad accelerare la decadenza della hypebeast culture dando modo alla Gen Z di conoscere pezzi di  Jean Paul Gautier o comunque item degli anni ‘80 e ‘90. Erano proprio quello che cercavano». Andando però al di là del mero trend del vintage, secondo Jacob internet e «l’accesso a piattaforme come Depop o TikTok hanno modificato la maniera in cui intendiamo il concetto di ‘nuovo’» nel senso più radicale del termine: se il trend Y2K vive grazie a chi negli anni 2000 non era ancora nato, vuol dire che non si tratta del classico senso di nostalgia, ma di un qualcosa di più complesso dove ricordi collettivi invadono la memoria personale degli utenti.

Questa visione spiega trend apparentemente opposti tra di loro, due  buoni esempi sono da una parte il metaverso e la moda digital dall’altro il ritorno del craftcore e del knitwear. «Il metaverso ha un potenziale di marketing immenso è naturale che i brand stiano cercando di raggiungere quell’enorme segmento di pubblico che passa il proprio tempo online» sottolinea Jacob aggiungendo però che «gli abiti fisici conserveranno sempre il proprio valore nella vita reale». Se la pandemia è stato un acceleratore dei trend digitali, ha creato l’effetto posto creando un ritorno nella domanda di azioni manuali, come il knitwear: «Sempre più persone inizieranno a farsi i vestiti da sè, e quando i brand abbracceranno questa nuova maniera di produrre abbigliamento ci sarà una nuova rivoluzione. Ora sembra un trend strano e alimentato da internet ma negli anni ‘30, ‘40 e ‘50 c’erano brand che vendevano tessuti e modelli che i clienti trasformavano in abiti a casa propria». 

Oltre all’aspetto storico, il libro offre una panoramica delle interconnessioni e influenze che hanno plasmato la moda attuale, da Stüssy e la sua international family fino al lavoro di Rei Kawakubo i cui residui di influenza si possono trovare da Supreme fino a Louis Vuitton. Oltre ai designer e ai brand, poi, ci sono quegli item che, come il completo maschile, cambiano il loro significato a seconda del contesto storico e geografico: la tee bianca può essere simbolo di ribellione negli anni ‘60, una tela bianca per la protesta di Vivienne Westwood negli anni ‘90 o l’oggetto del desiderio nella cultura hype di Supreme. L’approccio di The Men's Fashion Book può sembrare analitico e freddo ma invece il metodo usato da Gallagher parte proprio dalla relazione tra l’individuo e l’oggetto di moda all’interno di un contesto sociale: «Anche chi non si dice interessato alla moda è sempre pieno di idee sullo stile o possiede storie legate all’abbigliamento, e credo che questo sia molto più utile ai miei lettori che qualunque recensione di una sfilata».

L’aspetto più interessante del libro è proprio la dualità nell’approccio creativo: da un lato la visione de zoomata di un’evoluzione culturale che abbraccia quasi un secolo, dall’altro l’intimità e la complessità sentimentale del rapporto tra gli uomini e la loro rappresentazione. 

The Men's Fashion Book di Jacob Gallagher è disponibile in libreria e su Amazon
Photo credits 
Jeremy Alvarez
Laurent Bentill
Shezi Manezi