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Come ha fatto Primark a sopravvivere senza un e-commerce?

L'unico brand di fast fashion senza uno store online

Come ha fatto Primark a sopravvivere senza un e-commerce? L'unico brand di fast fashion senza uno store online

Allo scoppiare della pandemia, con l'entrata in vigore del primo lockdown e le conseguenti chiusure, ci si interrogava sugli effetti dell'emergenza sull'industria della moda, e in particolare sul settore fast fashion. Nonostante l'emergenza non sia finita, è lecito affermare che il fast fashion non è stato distrutto dalla pandemia, al contrario, ne è uscito persino rafforzato. 

Tra marchi in grave crisi ed altri in lenta ripresa, Primark rappresenta un caso a parte nel settore, in quanto è stato l'unico grande nome a riuscire a sopravvivere alla pandemia senza un sito di e-commerce

Il lockdown senza store online

Primark - retailer irlandese fondato nel 1969 da Arthur Ryan per conto della famiglia Weston - ha sempre rappresentato un unicum nel panorama del fast fashion, tanto che tra il 2014 e il 2019, un periodo critico per il settore, la catena di negozi ha visto crescere le proprie vendite del 57%. Questa distanza dagli altri retailer del fast fashion si è ulteriormente acuita nei mesi della pandemia. Nonostante una rete di 387 store in tutto il mondo, Primark non possiede un sito di e-commerce, e di conseguenza non ha potuto vendere durante il primo lockdown, ed è nuovamente fermo nei paesi in cui le restrizioni si sono fatte più severe. 

Nei tre mesi primaverili di chiusura Primark ha riportato perdite per 2 miliardi di sterline (circa 2,2 miliardi di euro), per quanto riguarda le mancate vendite, e 650 milioni di sterline (oltre 728 milioni di euro) in mancati profitti. Da quando i negozi sono stati riaperti - a inizio maggio, a metà giugno in Inghilterra - Primark ha guadagnato 2 miliardi di sterline (2,2 miliardi di euro). Nell’anno fiscale del 2020, che si è chiuso lo scorso 12 settembre, Primark ha quindi raggiunto ricavi per 5,9 miliardi di sterline (6,6 miliardi di euro), -24% rispetto all’anno precedente, e profitti di 362 milioni (405 milioni di euro), - 63% rispetto allo stesso periodo. Il brand stima inoltre perdite pari a 375 milioni di sterline durante il periodo delle feste, solitamente uno dei più redditizi dell'anno. 

È difficile confrontare questi dati con l’andamento di altri nomi di punta del settore, come Zara o H&M, perché quest’ultimi hanno potuto fare affidamento sul proprio store online nei mesi di lockdown. La nuova centralità dell'e-commerce sta causando delle evoluzioni importanti nelle strategia di vendita di questi brand. Il gruppo Inditex, ad esempio, proprietario di Zara, Berhska, Stradivarius e altri, ha annunciato che il potenziamento verso l’online continuerà indipendentemente dall'attuale emergenza, andando a costituire uno degli asset principali del gruppo, e portando alla chiusura di circa 1.000 - 1.200 store Zara nei prossimi due anni. Una strategia che predilige l’online, in un tentativo più ampio di abbattere i costi, sembra essere anche la direzione intrapresa dal gruppo H&M, che tanto nel suo brand omonimo che in una delle sue ramificazioni, COS, ha deciso di chiudere un gran numero di store. Un destino che lo accomuna anche a Gap, che vuole puntare sull'e-commerce con la chiusura di 225 store

 

Prezzi competitivi e consumatori fedeli

Perché, quindi, anche Primark non punta sull'online? Come ha dichiarato George Garfield Weston, direttore esecutivo del brand, “abbiamo dimostrato che non ci serve”. 

Questo per una serie di ragioni. Innanzitutto i prezzi, bassissimi, ultra competitivi, praticamente introvabili da nessun altra parte (e destinati a salire se il brand dovesse trovarsi a gestire uno store online, con tutto quello che questo implica). Questo è senza dubbio IL punto di forza del retailer, tanto che, secondo lo stesso Weston, moltissimi consumatori hanno preferito non comprare online durante i mesi del lockdown, preferendo aspettare la riapertura dello store fisico. Non sorprende quindi che al momento della riapertura degli store si siano formate lunghissime code fuori da Primark, nel Regno Unito quando in Italia, una sorta di versione del revenge spending in salsa fast fashion, in misura ancora maggiore rispetto agli episodi visti in Francia fuori da Zara

La popolarità di Primark, infatti, non è mai stata così solida. Secondo un sondaggio di YouGov, Primark è il brand di moda più famoso del Regno Unito, battendo nomi come Nike, adidas, Levi’s e H&M. Uno dei fattori fondamentali nel successo del brand è appunto il pubblico, la massa di consumatori a cui il marchio si rivolge, che in questi mesi si è fidelizzata ancora di più. Da una parte questa fedeltà è dettata da ragioni economiche. Come accaduto anche durante la crisi del 2008, la pandemia ha polarizzato sempre di più le fasce di consumatori, arricchendone a dismisura alcuni, e impoverendone ulteriormente altri. Saranno quest'ultimi, in particolare se appartententi a famiglie numerose e con figli piccoli, i clienti più affezionati ad un brand che offre T-shirt a 2 euro e pigiami a 7. 

Prezzi così bassi instaurano inoltre un meccanismo mentale che spinge a comprare continuamente, giustificando i continui acquisti facendo leva sulla piccola spesa che comportano. Nonostante grandi dichiarazioni d'intenti e la ricerca di un approccio più etico e sostenibile allo shopping, il fast fashion è sopravvissuto alla pandemia proprio perché quei principi non sono stati messi in pratica, ma si è invece tornati a comprare più di prima. 

 

L'ulteriore spinta allo store fisico 

Primark non ha nessuna intenzione di realizzare un e-commerce, come ha ribadito più volte lo stesso Weston. Tradurre la propria offerta online rappresenterebbe un’impresa non da poco e con costi considerevoli, richiederebbe la creazione di nuovi centri di distribuzione e di logistica, con i conseguenti costi di manutenzione e imballaggio, e l’impiego di altri lavoratori. Il processo di distribuzione diventerebbe inevitabilmente molto più lento, dato che il brand dovrebbe inviare ogni articolo singolarmente, anziché in massa in un unico negozio, come fa ora. Con margini di profitto molto bassi e con un ricambio di merci e collezioni che viaggiano ad un ritmo elevatissimo (e con un volume considerevole), l'e-commerce non è una possibilità conveniente per Primark, almeno per il momento. 

In una mossa quasi anacronistica, ma che per ora pare vincente, Primark continuerà a puntare sullo store fisico. Il brand ha infatti in programma l'apertura di 13 nuovi negozi entro il prossimo anno, in Francia, USA, Italia (a Roma), in Repubblica Ceca, senza contare le 12 nuove aperture avvenute nell'ultimo anno.

Le future decisioni di Primark andranno di pari passo con l'evoluzione dell'emergenza sanitaria e con l'incognita che essa rappresenta. Non è chiaro a quanti altri lockdown il brand riuscirebbe a sopravvivere senza il supporto di uno store online.