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La pandemia segnerà la fine dell'influencer marketing?

Ad aprile i contenuti sponsorizzati su Instagram sono diminuiti dell'85%

La pandemia segnerà la fine dell'influencer marketing? Ad aprile i contenuti sponsorizzati su Instagram sono diminuiti dell'85%

Poco più di un mese fa, nss magazine tracciava un’analisi sul presente e sul futuro dell’influencer marketing, uno dei rami del settore moda più duramente colpito dalla diffusione della pandemia. Con il passare delle settimane, e con il progredire del virus, si è fatta strada l'ipotesi che la pandemia potesse mettere fine all'influencer marketing nella sua interezza. È difficile immaginare che un settore così strategico e divenuto fondamentale per l’industria - nel quale lo scorso anno i brand hanno investito oltre $8 miliardi di dollari - possa scomparire da un giorno all’altro.
Con lo scoppio dell’epidemia, i budget per l’influencer marketing sono stati i primi ad essere tagliati, in un tentativo più ampio di abbattere i costi. I contenuti sponsorizzati su Instagram nel mese di aprile sono diminuiti dell’85%, mentre i prezzi per un post sponsorizzato sono calati dal 20% al 30%. Sebbene il suo declino finale appaia ancora lontano, è probabile che questa crisi non farà altro che accelerare ed acuire dei cambiamenti già in atto, trasformazioni inevitabili cominciate prima della pandemia. 

 

Focus sulle vendite

Già prima dello scoppio della pandemia, era chiaro che l'influencer marketing avesse raggiunto un punto di non ritorno. Un modello caratterizzato da ritmi e costi folli aveva iniziato a mostrare le sue crepe persino nella vita pre-COVID: quello che si sta verificando oggi non è un declino improvviso, ma una fine annunciata, come aveva sottolineato anche nss magazine nella sua prima digital cover. Gli influencer più conosciuti potevano chiedere anche 20K per un post sponsorizzato, e poco importava se quella foto, pubblicata sul loro feed, avrebbe generato anche delle vendite. In tempi normali, quello per cui i brand pagavano era la visibilità, una awareness e una fama che solo personalità di un certo calibro possono assicurare. Ora la situazione è invertita. 

In un momento di crisi come questo i brand sono molto più interessati alle vendite, piuttosto che a una visibilità che porta poco, se non addirittura, nessun ricavo. Nonostante per molti influencer l’engagement sia cresciuto esponenzialmente durante il lockdown, non tutti i brand credono che il tempo passato sui social porterà a delle vendite effettive. Infatti, la conversione è diminuita sensibilmente: anche se gli influencer sono in grado di guidare i propri follower verso il sito del brand in questione, il numero di persone che effettua un acquisto è ancora molto basso. 

Una nuova narrazione

Al cambiare del lifestyle, e in generale in una situazione delicata come questa, influencer e brand si sono dovuti adattare a un nuovo tipo di narrazione. Non è più il momento di curare profili ‘ispirazionali’, moodboard estetitci e molto distanti dalla realtà, gli utenti cercano contenuti in cui possano identificarsi e ritrovarsi. Ma più di tutto, alla luce dei pesanti tagli al budget, conviene in ogni senso realizzare i propri contenuti in prima persona. Si pensi solo alla campagna di Jacquemus At Home, scattato via FaceTime praticamente a costo zero, e al successo che ha avuto. 

C’è stato, ad esempio, un ricorso massiccio all’uso delle newsletter da parte dei brand. Redatte dai dipendenti del marchio, questo tipo di NL non include solo prodotti, novità da acquistare e prodotti in saldo da non lasciarsi sfuggire, ma anche consigli, quotes, GIF, qualsiasi cosa che possa fungere da diversivo delle monotone giornate del lockdown. Con una media del +25% di mail aperte e con un numero sempre inferiore di richieste di ‘unsubscribe’, quello della newsletter si è rivelata un metodo vincente. La possibilità di comunicare con il proprio pubblico direttamente, per giunta in un luogo così privato e intimo come la casella mail, ha fatto sì che i consumatori si sentissero ascoltati e riveriti. 

A livello di social, invece, altri brand hanno preferito coinvolgere i propri dipendenti, come nel caso di Marc Jacobs o, in un modo leggermente diverso, Ganni. La strategia di fondo è cercare di trasformare i commessi, gli executives, i creativi, e i designer del brand, nei volti del brand stesso, influencer 2.0 che risultano più autentici grazie al loro rapporto diretto e privilegiato con il marchio. Banalmente risultano più credibili le persone che con quel brand ci lavorano, e con cui quindi condividono idee e valori, piuttosto che influencer pagati per sponsorizzarli. Un marchio che non ha mai avuto bisogno di ricorrere ad influencer, è invece Glossier, che durante il lockdown ha reso le sue dipendenti e le sue product developer le protagoniste del suo profilo Instagram. In questo senso il successo maggiore è stato raggiunto in Cina dai dipendenti della catena di grandi magazzini InTime, che hanno organizzato dirette e streaming mentre 27 dei loro punti vendita restavano chiusi al pubblico. In circa un’ora lo store ha venduto oltre 27 mila prodotti, secondo un report di Fung Business Intelligence. 

Uscire dalla propria comfort zone

Resta da capire quanti questi accorgimenti, presi in tempi di crisi, sopravviveranno anche quando l'industria tornerà ad una nuova normalità. Come nss magazine aveva già sottolineato, quello che gli influencer dovranno fare per continuare a lavorare è diversificare il proprio business, presentandosi ai brand con più skills e competenze, che esulano dal saper semplicemente posare davanti ad una macchina fotografica. Ma non solo. Il lockdown offre la possibilità di sponsorizzare e quindi collaborare con marchi diversi, non necessariamente del mondo della moda, ma ad esempio app innovative, servizi di delivery, strumenti e elettrodomestici per la casa e la cucina. Sono questo tipo di prodotti ad assicurare una narrazione più autentica in queste giornate casalinghe, immagini strategiche e 'relatable' perfette per instaurare un rapporto più autentico con il proprio seguito. Per molti influencer, inoltre, l'obiettivo finale è la creazione di una linea di prodotti o di un marchio, un successo raggiungibile dimostrando di saper comunicare la propria estetica e la propria personalità ad un pubblico fedele, che quei prodotti vorrà acquistarli. 

Dal punto di vista dei brand, invece, questo è il momento di avventurarsi in nuovi territori, di sperimentare nuovi mezzi. Sono diversi i marchi che durante il lockdown hanno utilizzato Zyper, una piattaforma di marketing dove i fan del brand possono produrre e postare contenuti, per il brand, in cambio di prodotti gratis e altri premi. Non solo sempre più marchi stanno facendo affidamento sui cosiddetti micro-influencer, in generale la ricerca si concentra su profili con un alto grado di engagement, senza dare troppa importanza al numero di follower totale. La pandemia ha infine decretato la vittoria e l'assoluta rilevanza di TikTok, al momento l'app più scaricata al mondo: è qui che i brand di moda devono investire, seguendo un successo già portato avanti dalle aziende cosmetiche e di make-up

 

Volendo azzardare delle previsioni per il futuro, sebbene la pandemia non cancellerà l'influencer marketing nella sua interezza, lascerà indubbiamente delle tracce profonde su questa industria. Con l'avvento nei prossimi mesi delle digital fashion week, e l'inevitabile lista di eventi online, questo è il momento per gli influencer di reinventarsi, di dimostrarsi player indispensabili per l'industria, anche senza eventi fisici e senza lo stesso numero di partnership di un tempo. I brand, invece, devono tornare ad una narrazione essenziale, realizzata senza collaborazioni e stimoli esterni, ma frutto solo di nuove strategie e inediti mezzi di comunicazione.