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No, Virgil Abloh non ha detto che lo streetwear è morto

Si sta solo evolvendo in qualcosa di nuovo

No, Virgil Abloh non ha detto che lo streetwear è morto Si sta solo evolvendo in qualcosa di nuovo

Nel corso di un'intervista concessa a Dazed, alla domanda sul futuro dello streetwear nel 2020, Virgil Abloh ha risposto:

«Credo che andrà a morire, il suo tempo è finito. Quante t-shirt possiamo avere, quante hoodie, quante sneaker?»

La risposta ha suscitato più di qualche clamore, ed ha immediatamente cominciato a circolare tra i media di settore, ripresa spesso in maniera sensazionalistica. Virgil Abloh d’altronde è uno dei principali attori del processo che ha reso lo streetwear quello che è oggi, rendendo mainstream quella che era nata come un sottocultura, ed è probabilmente il principale responsabile di quell’ enorme bolla che è la hype culture in cui ci troviamo, di cui le release delle The Ten - realizzate da Abloh in collaborazione con Nike - ha rappresentato il culmine. È  dunque ovvio che le dichiarazioni di Abloh abbiano una grande eco: se il padre stesso di un movimento arriva a ripudiarlo, che futuro c’è per quel movimento?

La realtà è, come sempre, più complessa e sfumata di così. La quote di Abloh è infatti stata estratta da una risposta più ampia, in cui Abloh dice:

«Credo che andremo incontro a un periodo in cui vorremmo esprimere la nostra conoscenza e il nostro stile personale con il vintage - ci sono tantissimi vestiti molto belli nei negozi di vintage, si tratta solo di indossarli. Credo che il fashion si allontanerà da quella frenesia di comprare sempre cose nuove, ci sarà più voglia di scavare negli archivi».

L’interpretazione più naturale delle frasi di Abloh è che lo streetwear non stia morendo, ma che si stia evolvendo in qualcosa di diverso e, forse, di più maturo. Al di là delle possibili supposizioni sul futuro - che per Abloh vanno nella direzione dell'archive fashion e della riscoperta del vintage - che lo streetwear si sarebbe evoluto in qualcosa di diverso dall’hype culture di questi ultimi due anni era prevedibile, se non scontato. In una intervista a WWD, il founder di Grailed Arun Gupta aveva detto:

«Il movimento nell’abbigliamento maschile, e cioè il fatto che sta diventando sempre più accettabile per gli uomini interessarsi a ciò che indossano, è stato costruito negli ultimi 10 anni. Lo streetwear è l’ultima fase di questo processo».

Ma  se lo streetwear per come lo intendiamo oggi è dunque entrato nella sua ultima fase, quale sarà la prossima?

Una buona risposta potrebbe essere il “nuovo lusso”. Quando lo streetwear diventa alla portata di (quasi) tutti, lo step per avvicinare ulteriormente la street culture all’alta domanda passa dall’ibridazione alla vera e propria contaminazione di generi. La fine dell'anno - e del decennio - ha portato con sé due delle più prorompenti novità degli ultimi anni di streetwear, le collaborazioni tra Prada e adidas e Dior e Jordan, a sublimazione di un processo iniziato con Supreme e Louis Vuitton.

«Quello che sembrava un trend provocatorio iniziato da Dapper Dan prima e James Jebbia poi, oggi spiega perché Kanye, A$AP Rocky e Tyler, The Creator sono diventati le icone dello stile mondiale. Prada collabora con adidas, Gucci ha fatto della diversity il suo valore principale ed è ovviamente anche il motivo per cui Virgil Abloh è diventato il direttore creativo di Louis Vuitton», ha scritto Filippo D’Asaro su nss magazine.

La fine dello streetwear annunciata da Virgil Abloh - e ripresa con fin troppa euforia dai media - era dunque forse già implicita nella sua nomina a direttore creativo di Louis Vuitton, un processo di normalizzazione necessario che segue qualsiasi creazione di una bolla che poi non finisce per esplodere. Che lo si voglia chiamare nuovo lusso o archive fashion, lo streetwear non sta morendo, sta solo crescendo.