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Il meglio della Paris Fashion Week SS20

Le collezioni e i designer che hanno lasciato il segno

Il meglio della Paris Fashion Week SS20 Le collezioni e i designer che hanno lasciato il segno

Con la sfilata di Louis Vuitton di ieri sera si è chiusa ufficialmente la Paris Fashion Week e con essa l’intero Fashion Month. 

A differenza delle altre Big Four, Parigi conserva un profilo molto più internazionale, non solo per il livello dei nomi che ospita nel suo calendario, ma soprattutto per la qualità della sua proposta. Qui i temi improvvisamente diventano universali, si ragiona sul concetto di moda stessa, su cosa significhi oggi disegnare degli abiti, si cercano i legami tra l'industria e gli argomenti più discussi e controversi del momento. Era inevitabile che la sostenibilità fosse quindi uno dei capisaldi della stagione - vedremo se anche della prossima - insieme alla politica, protagonista del magistrale show di Balenciaga. Pazienza se quando si parla di Paris Fashion Week si omettono discorsi più locali, di quelli che si fanno invece a Milano, ad esempio su quanto la Fashion Week debba essere connessa e debitrice alla città che la ospita, qui la chiave di lettura è, per forza di cose, diversa. 

Rimanere sempre uguali a sé stessi può essere un grande punto di forza per un brand, ma anche il motivo della sua morte. Le collezioni SS20 di Saint Laurent e Celine, per quanto belle e sofisticate, appaiono una riproposizione infinita e non sempre ispirata di capi già visti, silhouette ormai familiari, progetti ambiziosi che sfiorano la noia. Ad un brand si chiede continuità, è vero, ma ogni tanto fa ancora piacere non sapere cosa ci attende in passerella.

Qui abbiamo raccolto le cinque sfilate che più ci hanno colpito durante questa PFW, in ordine rigorosamente sparso. 

 

Marine Serre  

E' possibile introdurre il discorso della sostenibilità in un brand che ha già un'identità e un'estetica ben definite? Marine Serre dice di sì. Per la collezione SS20, intitolata Marée Noire, la giovane designer francese ha portato il pubblico nella periferia di Parigi, su una pista d’atletica trasformata in passerella sotto una pioggia battente. Quello che ha sfilato è un cast eterogeneo sia per razza, età e taglia, di sopravvissuti ad un apocalisse climatico. Una sorta di funerale al pianeta che si riflette nei look total black che hanno aperto lo show, un colore raramente utilizzato da Serre, ma che in questo caso descrive perfettamente quell’ansia e quel senso di colpa che accompagnano le riflessioni sulla sostenibilità, almeno nel mondo della moda. L'attenzione all'ambiente si concretizza nell'utilizzo di materiali e tessuti riciclati, impiegati per il 50% della collezione - numero ancora bassi, ma sicuramente rassicuranti. Essere riuscita a creare un'estetica così ben definita attraverso lunghi trench, top a collo alto e leggings super aderenti, ma soprattutto grazie a quel logo con la mezza luna, poteva rivelarsi un'arma a doppio taglio per Serre, un terreno sicuro su cui giocare per le prossime stagioni. E' stato rincuorante veder scendere in passerella una nuova idea di tailoring, ancora non totalmente matura, ma non per questo non degna di nota. 

 

Balenciaga 

C'era tutto: il concept, il setting, la colonna sonora, lo streetwear, il workwear, il tributo alla storia della Maison. Reduce dalle dimissioni da Vetements, Demna Gvasalia ha sorpreso tutti con uno show che ha ricordato perché è ancora direttore creativo di Balenciaga. Della sfilata vi avevamo parlato approfonditamente qui, sottolineando come il setting, ispirato al Parlamento Europeo, accompagnasse una proposta che ragionava sul concetto di 'vestirsi per il lavoro', qualsiasi lavoro, attraverso una riflessione sulle uniformi, specificatamente quelle rappresentative della Maison. Come da Prada a Milano e da Valentino a Parigi, l'attenzione è rivolta più verso la persona, in questo caso però il carattere è amplificato per sottolineare le sovrastrutture e l'influenza che il potere esercita su ognuno di noi. Uno show sfaccettato, multiforme e polivalente, che ci ricorda quanto la moda sia ancora in grado di parlare della società che rappresenta. 

 

Mugler

E' sempre molto difficile trovarsi alla guida di una Maison fondata da un designer carismatico e talentuoso, che l'ha plasmata secondo il suo gusto e la sua concezione di moda, il rischio di farsi schiacciare da un'eredità così pesante è sempre dietro l'angolo. Quella che ha portato Casey Cadwallader in passerella, però, è stata una sintesi quasi perfetta tra l'estetica di Thierry Mugler degli anni '80 e '90 e la concezione odierna di moda. Ci si rinnova attraverso un casting trasversale, che si apre con Bella Hadid, ma che vede la presenza di modelli di ogni razza e taglia, si mantengono poi quegli elementi profondamente connessi alla natura di Mugler: body sgambatissimi, reggiseni neri, giacche strutturate che accarezzano le forme del corpo, tagli che scoprono la pelle. E' evidente il lavoro meticoloso fatto sulle silhouette e sui tessuti, in bilico tra lingerie, tailoring e streetwear, il risultato è potente, audace, risponde forte alla domanda 'Cosa vuole indossare oggi una donna per sentirsi sensuale?', ed ecco che ritorna il discorso sulla persona che quegli abiti sceglie di indossarli. 

 

Valentino

Stagione dopo stagione, Pierpaolo Piccioli sta dando una consistenza e un'identità alla Maison Valentino in grado di oltrepassare i confini della Couture per entrare nella vita reale, mantenendo però quel carattere magico e sognante che è l'essenza stessa della Haute Couture. Si tratta di un equilibrio precario, difficile da raggiungere e ancor più da mantenere, tuttavia Piccioli sembra non avere particolari difficoltà nella sua missione. In questa collezione, gioiosa e leggera, la camicia bianca diventa la tela designata su cui giocare con volumi, sovrapposizioni e tagli presi dal mondo della Couture: lo show si apre con 12 look total white, quasi un omaggio alla collezione immacolata che Valentino Garavani aveva disegnato nel 1968, una proposta che avrebbe poi cambiato per sempre il destino della Maison. La storia di Valentino Piccioli l'ha già cambiata e continua a farlo, questa volta con abiti e gonne fluide, leggere, trasparenti, ruches enormi che sembrano delle nuvole, plissé in colori fluo che riassumono presente e passato, inserti di piume, lurex e pizzi che trasportano la collezione nella proposta ancora più luxury. 

 

Louis Vuitton 

Le proposte Uomo e Donna di Louis Vuitton viaggiano su due binari paralleli. Nelle ultime stagioni, Nicolas Ghesquière ha tradotto in collezioni avanguardistiche ed eclettiche un futuro non troppo lontano, ma per la SS20 ha voluto guardare al passato. La Belle Époque francese ha avuto una portata dal punto di vista culturale senza precedenti, come ha raccontato lo stesso designer nel backstage della sfilata, è il periodo di Proust, ma anche dei primi movimenti per l'emancipazione della donna e degli albori della stessa Maison LV. Maniche a sbuffo, vest aderenti portati con pantaloni gessati, colletti rotondi, gonne stratificate testimoniano l'isprazione; gli accessori, primo fra tutti quella borsa-VHS, testimoniano il genio, basta un dettaglio giusto per vendere, anche solo su Instagram.