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La crisi di H&M e il futuro del fast fashion

Un sistema al collasso che deve guardare alla sostenibilità se vuole sopravvivere

La crisi di H&M e il futuro del fast fashion Un sistema al collasso che deve guardare alla sostenibilità se vuole sopravvivere

Gli ultimi dieci anni hanno rappresentato un periodo piuttosto complicato per il brand svedese di fast fashion H&M. Nel 2013 la fabbrica di Rana Plaza, in Bangladesh, uno degli stabilimenti in cui H&M produce le sue collezioni, ha subito un crollo devastante, che ha ucciso più di 1000 persone in meno di 90 secondi. Nel 2018 il marchio è stato al centro di uno scandalo per via di una campagna pubblicitaria considerata razzista che vedeva protagonista un bambino nero con indosso una maglietta con le parole "la scimmia più bella della giungla". Dal 2017 il brand è stato costretto a chiudere oltre 300 negozi in tutto il mondo come conseguenza di un forte calo delle vendite, che lo ha lasciato con $4,3 miliardi di dollari di abiti invenduti. Inutile dire che il marchio sta attraversando una crisi profonda, una crisi che non parla solo a H&M, ma all'intera catena del fast fashion

Il problema alla base del fast fashion è facile da comprendere: ci sono troppi vestiti di bassa qualità che vengono prodotti, venduti e smaltiti ogni anno e questa dinamica danneggia inevitabilmente sia l'ambiente che la società stessa. Zara, il competitor più forte di H&M, si è già posta sulla strada giusta dell'eco-compatibilità. La società madre del marchio Inditex ha infatti recentemente annunciato che si impegnerà a realizzare il 100% delle proprie collezioni con tessuti sostenibili entro il 2025, affermando inoltre di aver già iniziato questo viaggio rendendo eco-friendly tutti i suoi 7.500 negozi entro la fine del 2019. Questo si traduce in azioni concrete come eliminare i sacchetti di plastica monouso entro il 2020, riutilizzare più volte scatole di cartone, riutilizzare appendiabiti ecc. Il 90% dei siti web di Zara è già alimentato da energie rinnovabili e l'azienda si impegna a produrre la minor quantità possibile di rifiuti nei suoi stabilimenti, il che significa che sta cercando il modo di bilanciare la propria produzione con la domanda dei propri clienti, così da non rimanere con grandi quantità di merce invenduta. 

Al contrario, Hennes e Mauritz sta cercando letteralmente di farsi largo tra l'enorme mucchio di indumenti invenduti che sono stati prodotti in eccesso negli ultimi cinque anni. In seguito all'incidente in Bangladesh, la società ha accettato di firmare un accordo multilaterale per la sicurezza sul posto di lavoro che garantisce una serie legalmente vincolante e completa di norme antincendio e di protezione degli edifici e misure obbligatorie per l'ispezione, la bonifica e il monitoraggio dei luoghi di lavoro utilizzati dall'azienda. 

Arrivati al 2019, tematiche come la sostenibilità e la sovraproduzione sono diventate due delle questioni centrali dell'industria, tanto che anche H&M è stata costretta a revisionare il suo inventario. Anche se il marchio ha dichiarato che il suo livello di inventario è cresciuto a 4,4 miliardi dai 3,9 miliardi di un anno fa, quella pila di inventario sembra diventata un po' più gestibile. Secondo BOF, alla fine del primo trimestre dell'anno, i prodotti di quella catasta di inventario erano circa il 18,3% delle vendite effettuate, mentre alla fine del secondo trimestre erano cresciuti lentamente fino al 18,6%. Il che significa che il marchio sembra prendere i provvedimenti necessari per utilizzare il proprio inventario multimilionario di capi invenduti optando per rivenderli anziché andare a creare costantemente nuove collezioni. Il brand ha persino dichiarato che entro la fine del terzo trimestre del 2019 la quantità di merce invenduta dovrebbe rappresentare circa l'1,5% del margine lordo. Questo è importante perché il concetto di sostenibilità non implica solo l'uso di materiali ecocompatibili, ma comprende anche la ricerca di metodi per allungare la vita degli abiti già prodotti attraverso prassi come la rivendita e l'uso di seconda mano. 

Inoltre la società svedese non è proprietaria solo della catena omonima, ma possiede anche marchi di moda di qualità media e alta come COS, & Other Stories e Arket che sebbene producano su scala inferiore, hanno dimostrato di fare meglio della loro sorella maggiore. La società ha inoltre annunciato a BOF che nel corso di quest'anno mirerà a migliorare la propria catena di distribuzione per essere più simile ai suoi marchi gemelli, il che dovrebbe portare ad un aumento delle vendite annuali di almeno il 12%. 

Anche se H&M sembra aver fatto alcune mosse nella giusta direzione, ovviamente ci saranno dei rischi. L'azienda dovrà riuscire a far fronte sia ad un aumento sia ad un eventuale crollo della domanda senza perdere il controllo, in quanto entrambe le possibilità potrebbero avere dei risultati negativi. Esiste poi tutta una serie di rischi connessa ai brand competitor come Zara e Primark, al cambio di valuta, dato che la maggior parte delle azioni della società sono state acquistate quando il dollaro era molto più forte. C'è infine il rischio di un'acquisizione da parte di Stefan Persson, presidente della società che al momento possiede circa la metà delle azioni del brand. 

Entro la fine di quest'anno potremo già verificare se i provvedimenti presi da H&M avranno dato i loro frutti.