
I giovani cinesi sono così depressi che si fanno chiamare “rat people” E mostrano sui social come passano le loro giornate distesi
Per chi non se lo ricordasse, c’è stato un periodo, tra il 2020 e il 2022, in cui Il mio anno di riposo e oblio di Ottessa Moshfegh è diventato uno dei libri più discussi su TikTok. La sua trama, basata sull’idea di sospendere la propria vita per fuggire dalla stanchezza del mondo, era sembrata la traduzione letteraria perfetta di ciò che molti, soprattutto Gen Z, stavano vivendo durante i lockdown. Da lì il termine «bed rotting» (marcire a letto) era diventato lo slang preferito della generazione che non riusciva più a ritrovare, in modo ironico ma anche spaventosamente reale, un motivo per alzarsi.
Chi sono i “rat people” cinesi?
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Oggi lo schema sembra ripetersi, ma con una sfumatura ancora più cupa. I giovani cinesi hanno iniziato a definirsi «rat people», letteralmente persone-ratto e documentano sui social le loro giornate passate a letto, come se la posizione orizzontale fosse l’unico modo possibile per sopravvivere a un mondo percepito come ostile. L’espressione nasce proprio da questa autoironia triste e descrive un modo di vivere simile a quello dei topi, che evitano la luce, i ritmi e le aspettative della società.
Fortune riporta che il trend è stato originato da una giovane creator della provincia di Zhejiang ad inizio anno, quando aveva postato un vlog della sua giornata “orizzontale” fatta di sveglia a mezzogiorno, ore di doomscrolling, brevi spostamenti dal letto al divano, ritorno sotto le coperte alle otto di sera per continuare a scrollare passivamente fino ad addormentarsi. La sua satira è diventata manifesto, tanto che molti user sui social si sono rivisti in lei, tanto da ammettere che la stanchezza percepita da migliaia di giovani in giro per il Paese è data dal modello di vita veloce e iper-efficiente a cui sono abituati.
Perché la Gen Z cinese si sente così?
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L’immaginario dei “rat people” non nasce dal nulla, anzi, è il risultato di anni di pressione economica, competitività crescente e una mobilità sociale che in Cina si è quasi completamente bloccata. La narrativa del “sogno cinese”, quella in cui studio e il sacrificio si traducono immediatamente in successo, si è incrinata di fronte a un mercato del lavoro saturo, stipendi stagnanti e città sempre più inaccessibili. Il celebre modello “996” del Paese, che indica lavorare dalle 9 alle 21 per sei giorni a settimana, è diventato insostenibile, soprattutto dal momento in cui l’economia non garantisce più ricompense proporzionate.
La cultura dei “rat people” funziona anche come forma di resistenza, come commentano su RedNote gli stessi protagonisti, è negazione esplicita del modello produttivo che ha guidato la Cina per i vent’anni di boom economico del paese. Non lavorare più fino allo sfinimento, ma ridurre tutto al minimo, sottrarsi alla competizione, dichiararsi esausti prima ancora che qualcuno possa chiederti di esserlo.
E non è un fenomeno isolato. In Occidente la Gen Z ha introdotto concetti come micro-retirement, quiet quitting e una generale diffidenza verso il culto della performance. La domanda resta sempre la stessa: il problema è il sistema lavorativo, sempre più distante dalle reali necessità dei lavoratori, o è la Gen Z, davvero svogliata e poco motivata? Se un’intera generazione del Paese “più produttivo” al mondo si sente così depressa da non alzarsi dal letto, forse il problema non sono i giovani.












































