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Kroke for Expo 2015

The new Klezmer

Kroke for Expo 2015 The new Klezmer

I Kroke sono un gruppo attivo dal 1992 fondato da alcuni ex-allievi del conservatorio di Cracovia. La loro musica predilige i ritmi lenti, malinconici e nostalgici e si basa in larga misura sulla tradizione klezmer - genere musicale ebraico - sperimentandola al fine di creare nuove sonorità in un esercizio dal gusto jazzistico.

In occasione dell'Expo, il gruppo di Cracovia terrà due concerti il 18 e il 19 maggio nel Padiglione Polonia

I Kroke ci raccontano qui che cosa li leghi alla loro terra madre ed alla tradizione ebraica: un'occasione perfetta per conoscere qualcosa in più di una cultura e di un approccio musicale ben lontani da quelli a cui solitamente siamo abituati. 

Vi esibirete in Italia nel corso degli eventi che presenteranno la Polonia, ma in che misura la vostra musica è legata alla Polonia odierna? Molti di questi elementi vengono da un mondo che non esiste più già da molto tempo. 

Jerzy Bawoł: Ciò che facciamo non è semplicemente ricreare la musica tradizionale. Ci basiamo sull’eredità musicale che un tempo era presente in Polonia, intesa in senso lato, non necessariamente in senso nazionale, ma territoriale. Un tempo avevamo a che fare con una Polonia multietnica, la musica di questi popoli era nei nostri cuori e si sviluppava in territorio polacco. Sulla base di questa tradizione, di certe frasi, di un certo gusto, costruiamo la nostra musica che è del tutto contemporanea. 

Il nostro gruppo si chiama  “Cracovia’ [“Kroke” in yiddish, la lingua dei ebrei ashkenaziti – ndr], siamo di Cracovia, volutamente non ci siamo mai spostati da qui. Ovunque andiamo, tutti riconoscono la musica dei nostri concerti come musica polacca. Ma soprattutto siamo cracoviani: di nome, per la visione del mondo, per la tradizione che coltiviamo. 

E ciò che sta accadendo attualmente nella musica polacca è per voi un punto di riferimento?

Attualmente facciamo riferimento soprattutto alla musica del bacino del Mediterraneo, ma ovviamente anche alla musica della Polonia e dei Balcani. I nostri “viaggi musicali” comprendono tutta l’ Europa. Questa è la tradizione klezmer che un tempo esisteva in Polonia. I klezmer viaggiavano attraverso il paese, si ispiravano a diverse nazioni e condividevano questa musica. Noi facciamo la stessa cosa, solo più velocemente, grazie all’aereo o all’automobile. Incontriamo musicisti e ne prendiamo diversi spunti. Ma se si fa ascoltare a qualcuno la nostra musica, certamente la assocerà al quartiere Kazimierz di Cracovia.

C’è differenza per voi tra il suonare a Cracovia rispetto ad altri luoghi nei quali viaggiate?

Ogni pubblico è diverso ma al tempo stesso uguale. A Cracovia suoniamo soprattutto per noi stessi e le persone sono squisite, ma anche esigenti nei confronti della musica. Gli abitanti di Cracovia sono molto critici nel valutare i propri artisti: abbiamo dovuto imparare a suonare a casa nostra.

E quando viaggiamo tutto dipende dalla sensibilità di chi ci ascolta. Adoriamo suonare sia nell’Europa meridionale che in Scandinavia. Probabilmente non c’è luogo in Europa in cui non abbiamo suonato almeno una volta e vediamo che la musica viene percepita ovunque in modo simile. Vogliamo comunicare con le persone, vogliamo creare una certa relazione che tende al dialogo tra noi e gli ascoltatori, aprire nella loro testa un nuovo spazio che potranno poi occupare da soli.

E’ stato così sin dall’inizio della creazione del gruppo o ci siete arrivati gradualmente?

Ci conosciamo dalla prima classe del liceo, cioè da quasi 30 anni. Siamo cresciuti nelle stesse strutture e siamo sempre stati amici. La nostra filosofia è molto coerente. Non ci siamo imposti nulla, tutto ciò è cresciuto insieme a noi. Siamo pienamente consapevoli di ciò che vogliamo, tuttavia non abbiamo mai parlato di questo. Tutto ciò si basa principalmente sulle sensazioni.

Durante i vostri viaggi avete stretto collaborazioni con molti artisti provenienti da diverse parti del mondo, spesso di fama internazionale. Quale incontro vi ha dato di più?

Non c’è stata una collaborazione che ci abbia permesso di crescere più di altre, e non lo dico per cortesia. Non era così che ci incontravamo, incidevamo un disco, ci lasciavamo e niente di più. Abbiamo sempre passato del tempo insieme, abbiamo parlato, ci siamo conosciuti a vicenda ed abbiamo preso ispirazione reciprocamente. Ogni artista ci ha spostato verso di sé, che si trattasse di Peter Gabriel, Nigel Kennedy, Edyta Geppert, Ania Maria Jopek o delle amiche norvegesi,  per non citarne tanti altri, ma erano sempre in molti attorno a noi e, cosa importante, lo sono tuttora.   

Hai qualche artista preferito con il quale vorresti un giorno collaborare? Magari qualcosa che per voi rappresenta una sfida?

Lavoriamo molto con la musica da film, recentemente abbiamo preparato la colonna sonora per il paradocumentario “Kabaret śmierci” (Il cabaret della morte) che ha ricevuto la medaglia d’oro al festival di New York. Attualmente il nostro sogno è di lavorare con una nuova sceneggiatura per film ed un buon regista. Dovrebbe essere qualcosa che ci attiri molto, che ci faccia crescere e realizzare. Sentiamo spesso dire che ciò che facciamo è molto visuale.

Collaborate non solo con il cinema ma anche con il teatro. Cosa può emergere di positivo dalla fusione di questi due mondi?

Le condizioni fondamentali sono la libertà e la cooperazione. Se hai la libertà, allora ne può risultare qualcosa di speciale. Peter Gabriel ci ha raccontato della collaborazione con Martin Scorsese per “L’ultima tentazione di Cristo”. Discutevano ogni scena, ogni frase, il simbolismo della musica e delle scene, al tempo stesso Peter aveva libertà assoluta nella scelta dei musicisti, nella creazione e nell’estetica. È interessante la realizzazione comune di un’opera, di uno spettacolo teatrale o di un film. Con tali presupposti possono risultare solo cose buone.