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“Quanta noia a essere perfetti”: intervista ai Coma_Cose

Il duo milanese ci racconta del loro stile, del nuovo album in arrivo e della “Milano che non luccica”

“Quanta noia a essere perfetti”: intervista ai Coma_Cose Il duo milanese ci racconta del loro stile, del nuovo album in arrivo e della “Milano che non luccica”

I Coma_Cose hanno trovato un grande successo in tutta Italia nel corso della loro carriera, eppure la loro musica suona diversa per chi è o è stato giovane a Milano negli ultimi anni. Nelle loro canzoni, la vita quotidiana della città si anima e quartieri come Ticinese o Paolo Sarpi diventano scenografie emotive e comprimari di storie d’amore, di gioia, di nostalgia e di rabbia. Insieme, Fausto Zanardelli e Francesca Mesiano hanno celebrato un lato off-beat e reale di Milano, distanziandosi dai vacui trionfalismi di moda e design, e andando a cercare la bellezza della vita nei parchetti notturni, in Via Gola, sui treni di Centrale e sulle sponde del Naviglio. 

In occasione della release del loro nuovo album intitolato Nostralgia, in uscita il prossimo venerdì 16 aprile, abbiamo intervistato i Coma_Cose per farci raccontare la “loro” Milano.

Sin dall’inizio della vostra carriera siete stati i cantori di una Milano diversa e romantica, lontana dagli stereotipi della movida e della moda. Qual è la geografia sentimentale della “vostra” Milano e quali sono i suoi luoghi principali?

Sicuramente la parte che ci attrae di più di Milano è quella meno “luccicante”. I nostri luoghi del cuore sono chiaramente Corso di Porta Ticinese, a cui abbiamo dedicato il nome del nostro primo EP, Inverno Ticinese; Paolo Sarpi dove si trovava lo studio in cui abbiamo registrato Hype Aura e il naviglio Pavese quello in cui abbiamo cominciato a vivere insieme. Sono tre zone con anime molto diverse ma hanno in comune un approccio più punk, più ruspante rispetto a zone più patinate della città. Noi cantavamo sicuramente una Milano romantica dato che parlavano indirettamente anche del nostro rapporto ma soprattutto raccontavamo Milano con gli occhi di chi ci arriva con tanto desiderio, tanta fame. Forse è stata questa la chiave per evitare gli stereotipi.

La città e la sua scena indie hanno ispirato la vostra estetica? E, soprattutto, esiste per voi un’estetica “milanese”?

A Milano c’è una tendenza a codificare tutto come urban e forse questa parola è stata tanto abusata da svuotarla dal suo significato. Sicuramente Milano è una città in cui l’estetica diventa parte integrante del messaggio: l’eredità e il presente della moda, del design renderebbe impossibile immaginarla diversa. Detto questo penso che quello che caratterizza milano più che un linguaggio estetico urban sia una grande sensibilità al nuovo che arriva dall’Europa e dal mondo. Da questo punto di vista crediamo che questa città sia ancora davvero un luogo di novità; un luogo in cui l’estetica non è fine a sé stessa ma un alfabeto da usare per punteggiare quello che si vuole dire.

Come si è evoluto lo stile dei giovani milanesi nel corso del tempo? Il vostro si è evoluto di pari passo?

Noi nel tempo ci siamo evoluti parecchio; all’inizio eravamo essenziali, quasi austeri. Il primo video che ha catturato l’attenzione del pubblico, quello di Anima Lattina era un po’ il manifesto di questa ricerca di essenzialità. Noi vestiti di scuro in una stanza gigantesca vuota e completamente bianca. Sicuramente restiamo ancora oggi affascinanti da quella estetica un po’ sovietica, à-la-Berlino Est sovietica, ci intriga sempre quell’immaginario e ci giochiamo spesso anche sui social. Nel tempo chiaramente ci siamo evoluti e a Sanremo grazie alla collaborazione con la nostra stylist Giorgia Cantarini e gli abiti di MSGM abbiamo imparato ad esprimerci di più e meglio attraverso la scelta dei nostri outfit. A Sanremo volevamo raccontare il nostro fuoco interiore e abbiamo giocato molto con il rosso, il colore delle fiamme.

Com’era la Milano hipster pre-Expo, quando c’era ancora American Apparel alle Colonne? E che fine ha fatto quell’estetica indie?

Direi che si è evoluta e non lo dico con rimpianto. Tutto il mondo hipster deve necessariamente alimentarsi di idee nuove ed è un bene che siano arrivate persone più giovani di noi. Non ci sentiamo ancora boomer ma sicuramente 10 anni fa ci sentivamo più identitari e rappresentativi con le nostre scelte estetiche. Oggi sicuramente il nostro gusto estetico è diventato più familiare e mainstream e questo ci fa anche piacere, è normale che il nuovo contamini e si mescoli con la tradizione.

Nuovo album, nuovo capitolo. Come sono cambiati i Coma_Cose di oggi rispetto a quelli di Inverno Ticinese?

Tantissimo! Una volta da un punto di vista musicale eravamo molto più legati alla struttura in cui io rappavo e Francesca cantava, oggi abbiamo imparato a mescolarci molto più. Sono cambiati anche i temi, se una volta scattavamo istantanee di quello che ci succedeva oggi riusciamo a guardaci anche un po’ indietro e per questo il nostro album si chiama Nostralgia. Quello che è rimasto uguale invece è la fame che ci spinge; noi abbiamo scelto di prenderci cura della nostra passione della musica sostenendoci a vicenda quando sembrava che avremmo dovuto rinunciare al sogno. La nostra è stata una storia di presenza e reciproca presenza, siamo passati dal lavorare insieme come commessi in un negozio di borse al palco dell’Ariston. Quando vedi da vicino l’idea di dover rinunciare alla tua passione più grande ma riesci a salvarti grazie all’amore conservi per forza quella scintille che tutti i giorni ti fa venire voglia di fare sempre di più!