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Quando il terzo luogo è il cortile di casa Come i cortili delle case popolari stanno riscrivendo la cultura urbana

C'è una parte della città che non appare sulle copertine delle riviste di design, né nei rendering levigati degli studi di architettura: sono i cortili delle case popolari. Spazi interstiziali, spesso trascurati, a volte lasciati al degrado, che però custodiscono una risorsa preziosa e sempre più urgente: la possibilità di costruire cultura dal basso e di rigenerare il tessuto sociale. In un’epoca in cui si parla ovunque di "terzo luogo" – quello spazio sociale essenziale che non è casa né lavoro, ma il luogo dell'incontro spontaneo e della costruzione di comunità – forse è tempo di alzare lo sguardo dai nostri smartphone e guardare sotto casa, dove la vita reale pulsa più intensamente di qualsiasi immagine patinata. La miopia del design urbano e della pianificazione culturale, che per decenni hanno sistematicamente ignorato questi spazi relegandoli a mere aree di servizio, si è rivelata una grande occasione mancata. A lanciare il segnale più forte in questa direzione è stato il Comune di Milano, con il bando "Il Cortile di Casa", promosso da MM Spa e Assessorato alla Cultura. Gli 80.000 euro destinati a sostenere iniziative culturali, artistiche e sociali nei cortili dell’edilizia popolare non sono solo una cifra simbolica: rappresentano un cambio di paradigma significativo. Spostano l’attenzione politica e progettuale dove per decenni non si è voluta guardare, riconoscendo il valore intrinseco di luoghi che, pur essendo stati spesso etichettati come problematici, sono invece scrigni di potenziale umano e creativo.

Questa premialità per le periferie fuori dalla cerchia della 90/91 non è un mero tecnicismo, ma un atto di giustizia culturale. Riconosce che l'accesso alla cultura di qualità non deve essere un privilegio del centro città, ma un diritto diffuso, fondamentale per il benessere e l'inclusione sociale di tutti i cittadini. A essere finanziati saranno progetti gratuiti, accessibili e radicati nel territorio, che rispondano alle esigenze e alle specificità delle comunità locali. E i segnali che funzionano già non mancano: dalle proiezioni del Milano Film Festival nei cortili di Corvetto ai concerti itineranti di Piano City, passando per le Piccole Iniziative Diffuse Socioculturali (PIDS) già avviate in vari complessi popolari della città. I cortili, in particolare quelli delle case popolari, sono spazi intrinsecamente ibridi: semi-pubblici e semi-privati. Non sono vere piazze aperte a tutti, né proprietà chiuse ed esclusive. Sono zone-cuscinetto dove avviene una socialità spontanea, orizzontale, quotidiana, frutto di continue negoziazioni tra vicini. Nei progetti di housing popolare degli anni ’50 e ’60, i cortili avevano una funzione esplicita e nobile: erano pensati come vere e proprie "piazze interne", fulcro della vita comunitaria, luoghi di gioco per i bambini e di scambio per gli adulti. Negli ultimi decenni, complici disinvestimenti, mancanza di manutenzione e talvolta gestioni poco partecipative, sono diventati purtroppo semplici luoghi di passaggio, se non addirittura aree di conflitto o degrado. Questo bando cerca di restituire loro la dignità e la funzione originaria, potenziandone le possibilità contemporanee.

@tiportoinunposto e tu ci sei mai stato? #milano #milan #italy #italia #navigli #naviglio #bottega #cortile #viaggiare #viaggi #viaggiacontiktok #visit #milanese #fyp She Share Story (for Vlog) - 山口夕依

E se il cortile è lo spazio più prossimo per eccellenza – visibile dalle finestre, accessibile senza biglietto – allora è anche il più potente. Si stima che oltre 800.000 persone in Italia vivano in alloggi di edilizia residenziale pubblica, con la sola Milano che ne gestisce circa 28.000 attraverso MM. Questo significa che decine di migliaia di cortili esistono già e non aspettano altro che essere attivati. A livello urbano, il discorso si allarga. Se il design è "progetto", perché limitarsi agli interni di lusso o alle piazze instagrammabili? I cortili delle case popolari pongono domande scomode al design contemporaneo: cosa vuol dire oggi progettare uno spazio pubblico? Come si misura la qualità di un luogo: dall’estetica o dalla sua capacità di generare relazioni e dare voce alle comunità? In architettura si parla sempre più di design relazionale, cioè di quel progetto che non si limita alla forma, ma tiene conto delle dinamiche umane e sociali, ponendo l'utente al centro del processo creativo. E i cortili sono l’esempio perfetto di architettura relazionale non dichiarata, un luogo dove il progetto può agire come catalizzatore di incontri e trasformazioni. Il filosofo Michel de Certeau definiva questi luoghi come “spazi praticati”, luoghi che acquistano senso non per la forma, ma per l’uso. E se l’uso cambia – con concerti, spettacoli, laboratori, incontri – cambia anche il significato. Il degrado si trasforma in presenza, la diffidenza in relazione.

C’è anche una questione estetica da affrontare. Per troppo tempo, i cortili delle case popolari sono stati considerati “brutti” o “non meritevoli” di attenzione progettuale. La cultura urbana mainstream ha sempre preferito i luoghi canonici, levigati, formalizzati, conformi a un'idea di bellezza patinata e spesso asettica. In realtà, oggi stiamo assistendo a una rivincita degli spazi grezzi, veri, vissuti, che raccontano storie e stratificazioni. I cortili, con le loro imperfezioni e il loro carattere "crudo", diventano così fondali per narrazioni alternative, set per performance e progetti artistici che trovano proprio nella loro autenticità il loro più grande punto di forza. È una cultura a bassa soglia, accessibile e partecipata, che celebra la bellezza dell'inatteso e del quotidiano. Lo dimostrano anche progetti internazionali come il Granby Four Streets a Liverpool, un esempio celebre di rigenerazione urbana dal basso guidata dalla comunità, o Superkilen a Copenaghen, un parco che celebra la diversità culturale ed è un esempio di design innovativo che promuove l'interazione sociale.

Anche lì tutto è partito da un’idea semplice: ripartire da ciò che già esiste. Guardare i cortili delle case popolari significa smettere di progettare solo con la testa all’insù, verso grattacieli e icone architettoniche, e iniziare a osservare con attenzione la vita che si svolge a livello strada. Significa capire che la cultura non è solo un evento spettacolare o un'istituzione chiusa, ma un processo organico, vivo e in continuo mutamento. Un processo che si costruisce sul cemento quotidiano, sulla sedia portata giù al tramonto per chiacchierare con i vicini, sulla musica che attraversa le finestre e riempie l'aria. Se davvero vogliamo una cultura urbana viva, inclusiva e connessa ai bisogni reali dei suoi abitanti, è dai cortili che bisogna ripartire. Quei luoghi che per troppo tempo sono stati dimenticati e marginalizzati. Ma che oggi, grazie a nuove progettualità e a una rinnovata consapevolezza, si possono prendere la scena. Senza pretese di grandezza, ma con una potenza sotterranea e capillare capace di cambiare in profondità il volto e l'anima della città.