
I social media possono sostituire i telegiornali?
L'ultimo campo di battaglia in Occidente è il giornalismo vero e gli influencer politicizzati
18 Giugno 2025
Nel nuovo Digital News Report 2025 del Reuters Institute for the Study of Journalism, è emersa forse la più profonda trasformazione nel consumo di notizie a livello globale da oltre una generazione. Il cambiamento più radicale parte ovviamente dagli Stati Uniti, dove per la prima volta i social media e le piattaforme video hanno superato la televisione e i siti di notizie come principali fonti di informazione, ma si estende a tutto il mondo - Italia compresa come vedremo. La notizia forse un po' scioccante di quest'anno, è che i social media hanno superato i canali giornalistici classici come audience e performance adesso il divario tra i due si va allargando sempre di più. Secondo i dati, il 54% degli statunitensi intervistati ha dichiarato di aver utilizzato Facebook, YouTube, TikTok e X per accedere alle notizie nella settimana precedente al sondaggio - molto di più rispetto al 27% registrato nel 2013. A confronto, la televisione è stata usata dal 50%, mentre i siti web e le app dei media tradizionali sono stati consultati dal 48%. L’analisi per fasce d’età rende ancora più evidente questa trasformazione. Tra gli statunitensi tra i 18 e i 24 anni, il 54% ha indicato i social media e le piattaforme video come principale fonte di notizie. Nella fascia 25-34 anni, la quota è del 50%. Le generazioni più anziane restano più legate alla televisione e ai siti d’informazione tradizionali, ma la tendenza verso il digitale appare inarrestabile.
For the first time, social media overtakes TV as Americans' top news source pic.twitter.com/zuLKpnA6oC
— Bob Pickard (@BobPickard) June 16, 2025
Lo stesso cambiamento si registra anche in altri paesi, sebbene con sfumature diverse. In Brasile, il 35% ha indicato i social media come fonte principale di notizie, seguito dal 34% negli Stati Uniti. In Regno Unito, Francia, Danimarca e Giappone si osservano trend simili, anche se le testate tradizionali conservano una connessione più forte con il pubblico. Ma la cosa importante, comunque, è che i primi beneficiari di questo cambiamento sono i creatori di contenuti individuali e gli influencer dell’informazione, spesso del tutto esterni al giornalismo tradizionale. Queste figure esercitano una crescente influenza politica e culturale, tanto che il 22% degli intervistati negli Stati Uniti ha visto contenuti informativi o commenti da parte del podcaster Joe Rogan nella settimana successiva all’insediamento di Donald Trump - un numero che evidenzia l’enorme portata di Rogan, in particolare tra i giovani uomini, un segmento di pubblico che i media tradizionali faticano sempre più a raggiungere. Anche altre personalità di destra hanno avuto visibilità notevole: tra il 12% e il 14% degli intervistati ha dichiarato di aver visto contenuti di Tucker Carlson, Megyn Kelly, Candace Owens o Ben Shapiro. A differenza dei giornalisti professionisti, questi commentatori operano spesso senza alcun tipo di controllo editoriale, pur raggiungendo audience vaste e fidelizzate.
@dtalkspodcast Journalism is down bad #journalist #journalismmatters #journalism #socialmedia #darrenrita #podcast #explained original sound - D-Rita
Il report ha confermato una cosa che sapevamo tutti, ovvero che i politici populisti stanno approfittando di questo ecosistema per bypassare i media tradizionali, preferendo interviste con influencer amici che raramente pongono domande critiche. Questo consente la diffusione di narrative false o fuorvianti senza il controllo delle redazioni giornalistiche che, specialmente negli USA, vengono sempre di più additate come "fake news" quando non si allineano ai diktat dell'amministrazione Trump e delle sue strumentalizzazioni del diritto di parola e opinione, in realtà avversato dall'intero movimento MAGA che vorrebbe vedere giornalisti e oppositori politici dietro le sbarre o peggio. Particolarmente significativo è il caso della piattaforma X (e cioè l'ex-Twitter). Dopo l’acquisizione da parte di Elon Musk nel 2022, la base utenti ha subito un cambiamento demografico e ideologico. Negli Stati Uniti, la quota di utenti di destra su X è triplicata, passando dal 5% al 15%. Nello stesso periodo, la quota di utenti di sinistra è scesa dal 17% al 14%. In Regno Unito, il numero di utenti di destra è quasi raddoppiato.
Nel frattempo, le piattaforme alternative come Threads, Bluesky e Mastodon non riescono a conquistare pubblico significativo: ciascuna ha una penetrazione globale pari o inferiore al 2% per l’informazione. Al contrario, le piattaforme più consolidate continuano a dominare. Facebook è la più utilizzata per notizie, raggiungendo il 36% degli utenti a livello mondiale. YouTube è al 30%, mentre Instagram e WhatsApp si attestano attorno al 20%. TikTok, in rapida crescita, è usato per notizie dal 16% del pubblico globale, in aumento di quattro punti percentuali rispetto all’anno precedente. X è ancora usato dal 12%. Ma l’ascesa di queste nuove piattaforme solleva anche gravi preoccupazioni sulla verità e sull’accuratezza dell’informazione. A livello globale, il 58% degli intervistati ha espresso preoccupazione per la capacità di distinguere il vero dal falso online. Questo timore è massimo in Africa e negli Stati Uniti, dove ben il 73% delle persone si dichiara allarmato. La fiducia complessiva nei media resta bassa. Solo il 40% degli intervistati afferma di fidarsi della maggior parte delle notizie per la maggior parte del tempo. La fiducia è più alta in Nigeria (68%), seguita da Finlandia, Kenya, Danimarca, Sudafrica e Thailandia. I livelli più bassi si registrano in Grecia e Ungheria, con solo il 22% di fiducia. Seguono Slovacchia, Bulgaria e Romania.
I'm struggling to watch the news these days:
— BelindaSales. (@sales_belinda) June 14, 2025
Chaos, war, death, riots, starving people, lawmakers shot in their homes, media working hard to sow division, some political parties desperate to capitalise on events.
I feel depressed.
In generale, comunque, a livello globale, il 47% delle persone considera gli influencer online una fonte principale di informazioni false o ingannevoli, una percentuale identica a quella riferita ai politici - un parallelismo inevitabile in un'epoca post-verità come la nostra dove il continuo bombardamento di notizie politicamente orientate, di mezze verità o interpretazioni della stessa ha iniziato a creare in numerosi membri del pubblico come dimostrato da un sondaggio pubblicato su Associated Press lo scorso dicembre, e cioè all'indomani della vittoria elettorale di Trump. Un altro fenomeno crescente evidenziato dal report è la cosiddetta “fuga dalle notizie”: il 40% degli intervistati a livello globale, cioè, ha dichiarato di evitare le notizie “a volte” o “spesso”, rispetto al 29% nel 2017. Si tratta del livello più alto mai registrato, a pari merito con l’anno scorso. Nel Regno Unito, il tasso è ancora più elevato: il 46% degli intervistati dichiara di evitare spesso le notizie. Le motivazioni includono stress, sovraccarico informativo e negatività costante nei contenuti. Un cambiamento epocale si profila anche all’orizzonte con la crescente adozione di chatbot basati sull’intelligenza artificiale, come ChatGPT o Gemini di Google, per ricevere notizie. Sebbene il numero complessivo di utenti sia ancora contenuto, tra gli under 35 la percentuale sale al 12%, ovvero il doppio rispetto alla media generale. Le persone riconoscono che l’IA può rendere l’informazione più economica e aggiornata, ma la percepiscono anche come meno trasparente, meno precisa e meno affidabile. Nonostante il calo della fruizione, i marchi giornalistici tradizionali non sono del tutto spariti. Le generazioni di tutte le età continuano ad attribuire valore alla credibilità, all’esperienza e all’accuratezza dei media storici, anche se li consultano meno frequentemente rispetto al passato.
Il caso dell'Italia
Anche il mercato dell’informazione italiano sta vivendo una trasformazione profonda. La diffusione delle notizie online, ad esempio, ha registrato una lieve flessione rispetto agli anni precedenti nel nostro paese, mentre la TV ha stabilizzato la sua audience e la carta stampata continua a perdere lettori. La fiducia nei media rimane bassa, con solo il 36% degli italiani che dichiara di fidarsi delle notizie nella maggior parte dei casi. Le testate percepite come più neutrali godono di maggior fiducia, mentre Fanpage e Il Post, pur popolari tra i giovani, sono meno credibili per gli utenti più anziani. Secondo il report, firmato dal Dr. Alessio Cornia, ci troviamo in un contesto globale di disgregazione del sistema informativo tradizionale, dove la sfida principale per il giornalismo resta quella di riconquistare fiducia, trovare modelli economici sostenibili e rimanere rilevante in un ecosistema sempre più dominato da algoritmi, piattaforme e contenuti user-generated. Sul piano delle inserzioni, ad esempio, storica e spesso unica fonte di reddito per i canali televisivi, le grandi aziende internazionali come Google, Meta e Netflix dominano il mercato pubblicitario online, mettendo a dura prova la sostenibilità economica dei media tradizionali che però resistono ancora. Secondo la sezione "italiana" del report, infatti, la televisione continua a rappresentare il fulcro del sistema informativo in Italia, generando circa il 72% dei ricavi dell’intero settore dei media tradizionali. Il panorama televisivo, da sempre concentrato tra RAI e Mediaset (storicamente legata alla famiglia Berlusconi), si è leggermente diversificato negli ultimi anni. RAI resta il principale operatore, seguita da Sky e Mediaset. Questi tre soggetti assorbono ancora circa il 70% dei ricavi totali. Nel frattempo, le piattaforme di streaming come Netflix, DAZN, TIMVision, Amazon Prime Video e Disney+ hanno guadagnato terreno, arrivando a sfiorare il 20% del mercato televisivo complessivo.
@dataroom_milenagabanelli Con i dati chiunque può fare quello che vuole, dimostrando tutto e il contrario di tutto. Chi, come noi, usa i dati nelle inchieste, deve sapere almeno 3 cose essenziali per evitare inganni e andare oltre alle apparenze. Ve ne parliamo qui, direttamente dalla nostra redazione. #giornalismo #dati #imparacontiktok Blue Moon - Muspace Lofi
Nel settore pubblicitario, la crescita dell’online è evidente: oggi rappresenta il 61% dei ricavi pubblicitari totali. Tuttavia, la quasi totalità (85%) di questi introiti finisce nelle casse delle grandi piattaforme internazionali, lasciando ai media italiani una fetta molto esigua (15%), che rende difficile competere ad armi pari nel panorama digitale. La forza della TV si riflette ancora nell’audience settimanale offline, dominata dai grandi broadcaster. Tra i quotidiani stampati, solo Il Corriere della Sera e La Repubblica raggiungono almeno il 10% di lettori settimanali, confermando la leadership dei gruppi Cairo/RCS e GEDI, che insieme coprono il 34% delle copie vendute nel 2024. Non di meno, il mondo della stampa tradizionale continua a soffrire: alla fine del 2024, dopo 25 anni, ha chiuso la versione italiana di Metro, storico quotidiano gratuito; GEDI, intanto, ha venduto La Provincia Pavese, rimanendo con una sola testata locale e segnalando un progressivo disimpegno dal giornalismo territoriale e ha inoltre nominato un nuovo direttore a La Repubblica, ennesimo cambio ai vertici nel tentativo di riavvicinare il quotidiano alla sua identità editoriale originaria, dopo varie modifiche di linea che hanno suscitato critiche da lettori e redazione. Il panorama dell’informazione digitale italiana invece è assai più frammentato e in movimento. I broadcaster storici come RAI, Sky e Mediaset mantengono un seguito anche online, ma sono sfidati da testate digitali come Il Fatto Quotidiano, La Repubblica, Corriere.it, l’agenzia ANSA e soprattutto Fanpage, nato nel 2010, che è oggi il primo player nativo digitale in Italia. Testate come Il Post e Will Media, pur avendo un pubblico complessivo più ridotto, si distinguono tra gli under 35, raggiungendo rispettivamente l’11% e il 9%.
Un fenomeno in crescita è quello dei modelli a membership, adottati da molte testate native digitali. Fanpage, ad esempio, ha lanciato un programma di abbonamento che non limita i contenuti principali dietro un paywall, ma offre vantaggi esclusivi come podcast, newsletter e navigazione senza pubblicità per chi contribuisce economicamente. Questo approccio mira a preservare la visibilità online e i ricavi pubblicitari, coinvolgendo al contempo una comunità di lettori più fidelizzata. Iniziative simili sono state avviate da Il Post, Open, HuffPost, Linkiesta e Citynews. Ma agli italiani non piace troppo pagare per le proprie notizie e infatti il tasso di pagamento per le notizie online in Italia resta tra i più bassi al mondo, fermo al 9%. A complicare il quadro, sui nuovi media, c'è anche la crescente intersezione tra giornalismo e tecnologia che ha portato il Garante della Privacy italiano a esprimere preoccupazioni riguardo a una partnership tra GEDI e OpenAI, che prevedeva la fornitura di contenuti attribuiti a ChatGPT e la possibilità per l’IA di attingere al materiale del gruppo editoriale per migliorare le risposte. Lo scorso marzo invece è stato Il Foglio a pubblicare la prima edizione di un giornale interamente generata dall’intelligenza artificiale: titoli, articoli, editoriali e persino lettere dei lettori sono stati prodotti da sistemi automatici. L’iniziativa era volutamente provocatoria ma significativa: quando arriverà il momento in cui non saremo più in grado di accorgerci che è l'AI a scrivere i nostri giornali e a soppiantare i giornalisti dotati (si spera) di un'etica e di una deontologia professionale?