"La Nouvelle Vague" di Linklater è uno scatto in bianco e nero del cinema che cambia Il film racconta del making of del capolavoro Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard

Vero, essenziale, veloce. È come Jean-Luc Godard voleva fosse il cinema, il suo cinema, il suo debutto alla regia nel 1960, Fino all’ultimo respiro. Il regista parigino arrivava dopo i suoi fratelli della nuova onda francese e mondiale, figli adottivi di Roberto Rossellini e già acclamati tra I 400 colpi di François Truffaut e la tripletta Le beau Serge, I cugini e A doppia mandata di Claude Chabrol. Critici dei Cahiers du cinéma, rivoluzionari della pagina scritta prima ancora della pellicola, i giovani turchi hanno fatto delle idee teorizzate per anni sulla loro rivista dei veri e propri testamenti cinematografici. La loro politica è diventata la materia stessa con cui dirigere e montare i propri film. Vero, essenziale, veloce è allora anche il Nouvelle Vague di Richard Linklater, seconda opera per il regista e sceneggiatore del 2025 che arriva dopo il lodato Blue Moon, sempre trasposizione dell’arte per l’arte presentata alla scorsa Berlinale e incentrata sulla figura del librettista e paroliere Lorenz Hart durante la serata di apertura del musical Oklahoma!. Stavolta l’evento che l’autore va a raccontare è la realizzazione dell’esordio dietro la macchina da presa dell’indomabile Godard (che diresse un film con lo stesso titolo nel 1990), presentato alla 78esima edizione del festival di Cannes, mecca per il cinema-mondo come per Godard stesso.

Tutto fermenti e citazioni, l’autore si appresta a girare in venti giorni il film che avrebbe cambiato il volto della settima arte. Vero, essenziale, veloce è infatti Fino all’ultimo respiro. Erano i metodi del cineasta per riprendere la realtà, unica cosa che importa, assai più di qualsiasi continuità tra le scene. Un’opera scritta su pezzi di carta, col cast e la troupe privati di qualsiasi coordinata che andasse a disperdere la verità che Godard voleva catturare - a volte anche perché privo di ispirazione, esigenza per cui era necessario prendersi un giorno (dei soli venti) per staccare. L’arroganza, la brama, anche il bisogno di un successo in cui il giovane Jean-Luc Godard non avrebbe mai ammesso di sperare fanno di Nouvelle Vague di Linklater l’esegesi cinematografica di un momento di svolta per i cineasti del futuro. Genio o incosciente, si domanda chi deve lavorare insieme al pazzo, ironico, imprevedibile trentenne. Vero, essenziale, veloce: nel film Godard è ancora un debuttante mentre per il pubblico in sala e già un maestro che impartisce alcune delle sue lezioni più importanti, non sacrificando la consapevolezza di star facendo la storia assieme ai suoi compagni. È umoristica e brillante la scuola della (futura) autorialità cinematografica la quale vive e rivive attraverso un cineasta come Linklater, che considereremmo lontano dal french touch di Godard. Ma era esattamente di contaminazione e cambiamento che parlavano i Cahiers du cinéma e i suoi registi, l’inedito che passa dall’omaggio e può andare dal neorealismo di Viaggio in Italia ai noir di Humphrey Bogart.

Sono gli occhi di Truffaut e di Godard, i cui debutti non vivono solo sul grande schermo, ma in Nouvelle Vague vengono riflessi sugli occhiali scuri del regista di Fino all’ultimo respiro, assorbiti per nutrirsi di cinema e restituirlo poi sotto un’altra forma (come al regista piaceva ripetere: “I bravi artisti copiano, i geni rubano”). Solo un comando vige per il neofita cineasta: lasciarsi sorprendere, come vediamo nella scena più commovente del film, con la Jean Seberg di Zoey Deutch che lascia senza parole il suo regista durante il finale della morte del personaggio di Michel Poiccard di Jean-Paul Belmondo/Aubry Dullin (in fondo il titolo originale è À bout de souffle, ovvero senza fiato). Tagli, perdita di raccordi, flusso continuo di vita e cambiamento: Godard è riuscito davvero a dare significato al concetto del cinema come arte in movimento, trovando il lirismo in qualsiasi angolo, anche non a scapito della narrazione, e viceversa. Vero, essenziale, veloce è dunque il modo con cui è facile innamorarsi della Nouvelle Vague ricreata da Richard Linkalter, nella memoria di tutti cristallizzata e tornata col cineasta per muoversi, parlare, ridere, creare e soprattutto insegnare ancora un’altra volta.