A Guide to All Creative Directors

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David Cronenberg racconta il lutto in "The Shrouds"

L'ultima opera del regista che non crede nell'aldilà

David Cronenberg racconta il lutto in The Shrouds L'ultima opera del regista che non crede nell'aldilà

The Shrouds nasce dalla perdita di David Cronenberg della moglie Carolyn Zeifman. Quasi quarant’anni di matrimonio, una vita trascorsa insieme, un lutto che gli ha fatto pensare di non fare più film. Poi l’ispirazione, o meglio il tentativo di elaborare un lutto attraverso ciò che ha sempre fatto: scrivere e dirigere. Così l’opera, in concorso allo scorso Festival di Cannes e in Italia in anteprima al Busto Arsizio Film Festival, racconta la storia di Karsh (Vincent Cassel), un imprenditore high-tech che possiede un ristorante e un cimitero e in cui giace il corpo della moglie Becca (Diane Krugen). Visto che per Cronenberg non esiste l’aldilà - attenzione, infatti, a considerare The Shrouds una pellicola sulla vita dopo la morte - l’unica maniera per il protagonista di rimanere in contatto con la donna è avere una visuale attenta sul suo corpo. Il corpo è realtà, diceva nel suo Crimes of the Future, ed è l’unica verità incontrovertibile che ha sempre espresso nel cinema così come nella sua vita. 

Per entrare in contatto con la moglie defunta Karsh inventa dei sudari speciali, involucri per delle tombe dentro cui inserisce delle telecamere così che le persone possano tenere sempre sott’occhio i cari passati a miglior vita. Macabro, sì, ma incredibilmente umano:  l’attaccamento ossessivo alla materia è protagonista, unico credo per un ateo ed esistenzialista come David Cronenberg. Dunque il suo cinema, fin dagli inizi legato alla (nuova) carne, torna a quest’ultima persino nel momento della fine. Le dà forma, dà un corpo a ciò che, di per sé, è immateriale come la stessa morte. The Shrouds, che non è l’opera definitiva di Cronenberg né il suo film più bello, è anche quello che teorizza alla perfezione ciò che ha sempre messo in scena nel corso dei suoi film, arrivando ad applicarlo al dopo-vita. È il corpo come unica cosa che importa, ciò che possiamo vedere - anche se in questo caso non necessariamente toccare - e che afferma non il nostro passaggio ma il nostro stare ancora sulla Terra. 

The Shrouds entra a far parte di quel cinema di assenze che diventano prepotentemente presenze. Non che aleggiano soltanto nell’aria, come nel recente The Beast di Bertrand Bonello, ma diventano concrete e visibili all’occhio dello spettatore, che vede il corpo in decomposizione del personaggio di Becca come desidera il marito Karsh. Cronenberg riesce così a configurare la morte, la stessa inseguita da così tanti dei suoi colleghi cineasti che spesso l’hanno messa in scena nascondendola, rendendola aleatoria come accadeva col fantasma del fratello di Kristen Stewart nel Personal Shopper di Olivier Assayas. David Cronenberg, invece, non suggerisce nulla, fa direttamente osservare: ossa, scheletro, parti amputate e corpo in disfacimento sono meno traumatici dell’idea di non avere più nulla di sostanziale che appartenga alla moglie del protagonista, che è a propria volta eco della partner del regista. E per quanto riversarla nel cinema - che in The Shrouds significa anche utilizzare la figura del doppio, come accade ai personaggi delle sorelle Becca e Terry interpretate entrambe da Diane Krugen - possa essere un modo di sentirla vicina, la verità è che il dolore resterà sempre e il lutto non si supererà mai. Lo ha ammesso lo stesso Cronenberg, anche se il suo film cerca di essere meno fatalista. Ma è questo il bello del cinema: può fungere da palliativo, anche se per poco, e può persino riportare le persone in vita.