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Qual è il significato nascosto di “Saltburn”?

E perché la musica ne è la chiave

Qual è il significato nascosto di “Saltburn”? E perché la musica ne è la chiave

In uno dei periodi più floridi della Gran Bretagna del 20° secolo, che sancì la fine della politica di austerity di Margareth Thatcher, nacque un movimento denominato Cool Britannia che avrebbe da lì in poi definito lo stile e la cultura musicale d’oltre manica sino alla metà degli anni 2000 senza distinzione di classe. Se da un lato il rinnovato ottimismo sociale portò artisti come gli Oasis, che di aristocratico avevano effettivamente ben poco, a diventare la nuova voce generazionale, proprio in quegli anni venne scritta una delle canzoni che maggiormente illustrava come questa evoluzione sociale sarebbe nel tempo implosa su stessa. Common People dei Pulp illustrava come una giovane studentessa annoiata dell’aristocrazia britannica volesse vivere come le persone comuni, immergersi nella loro realtà,  deprimente ma affascinante allo stesso tempo, unicamente per sentirsi in pace con la propria coscienza. Se ci concentrassimo unicamente sulle parole che Jarvis Cocker compose nel 1995, potremmo ritrovare contestualmente il senso di uno dei film più interessanti del 2023, Saltburn, seconda opera della regista e attrice Emerald Fennell. 

Il brano dei Pulp (che viene citato anche all’interno della narrazione) diventa manifesto di chi vuole evadere dalla propria classe rifugiandosi in un'altra e qui descrive come un giovane ragazzo della classe media inglese non voglia vivere come le persone comuni ma nell’aristocrazia britannica. Emerald Fennell si interroga proprio su questo dilemma: se la persona considerata inferiore per classe sociale diventasse colui che distruggerà la tua esistenza, avresti ugualmente pietà della sua condizione? Oliver Quick, interpretato magistralmente da Berry Keoghan, si comporta come un Mr. Ripley della generazione Z camuffando abilmente le sue molteplici identità per attirare le attenzioni del brillante Felix (Jacob Elordi) rampollo della casata Cutton cui detiene oneri ed onori. Nella prigione dorata di Oxford dove ogni studente sembra essere erede di ricchezze e poteri spropositati, Oliver sembra casualmente attirare le attenzioni di Felix, più per le sue apparenti mancanze che per un reale fascino. Legandosi a lui in maniera apparentemente inconscia ne trarrà segreti, potere, che ne mostreranno dei lati sempre più nascosti anche per lo spettatore stesso. Come la protagonista di Common People, Felix vede in Oliver un giocattolo da tutti abbandonato con cui poter avere una nuova ed autentica interazione, conoscere uno stato sociale che non gli appartiene sino a quando non verrà attratto da qualcosa di nuovo, ma ciò che Oliver costruisce nel tempo è una trappola che lo porterà ad entrare dalla porta di ingresso del potere nobiliare britannico sino a diventarne l’unico possessore.

Saltburn per Oliver non è solo la reggia della famiglia Cutton, è uno stato mentale, è l’emancipazione da una vita normale e il movimento verso qualcosa di artificialmente nuovo e realmente appagante, la costituzione di un nuovo potere. Nonostante la sua famiglia originaria non sia tragica come Oliver ci tiene a mostrare, la sua ambizione lo spinge a costruire perennemente una nuova immagine di sé per ottenere il privilegio di essere ammirato da Felix e rubarne conseguentemente l’identità e lo stato sociale. Rispetto a Tom Ripley che si trova quasi per caso ad entrare in contatto con la famiglia Greenleaf con il compito di riportare a casa il proprio rampollo Dickie, di cui si suppone che Ripley sia un compagno di corso, Oliver cadenza ogni azione seguendo uno spartito sempre più dettagliato. Dapprima attirando Felix tra le sue braccia, finanche a comunicare con ogni membro della famiglia Catton esattamente con ciò che vorrebbe sentirsi dire, dal padre Sir James (Richard E. Grant), rinchiuso nei sistemi arcaici aristocratici, Lady Elspeth (Rosamund Pike), persa nel vino e nel suo black humor inglese, inclusa la sorella bulimica di Felix, Venetia (una vulnerabile ma spietata Allison Oliver). Le uniche persone che non riesce ad attrarre dalla sua parte sono il custode di Saltburn (uno scettico Paul Rhys) e il cugino americano di Felix, Farleigh Start, entrambi alla disperata ricerca di un senso di appartenenza. Il denaro è tutto e niente a Saltburn, ma tutte le persone sono aggrappate a un'identità senza la quale non possono permettersi di vivere.

Se la narrazione segue un canovaccio abbastanza preciso, portandoci dentro al sistema di attrazione e manipolazione di Oliver, è l’estetica dissacrante della messa in scena, la conformazione musicale e stilistica delle immagini ad essere il vero asso nella manica di Emerald Fennell. Saltburn è un film pop, nella concezione che tale termine aveva per lo stesso Andy Warhol rispetto a come la società avesse perso l'unicità contenuta negli oggetti legandosi esclusivamente al guadagno, ed ciò che fa Fennell nel mostrare la crisi identitaria dell’aristocrazia britannica attraverso gli occhi di un ragazzo apparentemente impacciato ma che combatte nel contesto di una nuova lotta di classe. La musica non solo inquadra abilmente il determinato periodo storico in cui la narrazione si sviluppa, determinando la fine e la crisi del britpop come risultato della conclusione identitaria della stessa Cool Britannia, ma si contrappone perfettamente alla composizione originale di Anthony Willis che ne cadenza gli attimi da dramma di corte in pieno stile Barry Lyndon.

I bagni estivi sotto le note degli MGMT, i bellissimi corpi definiti sotto un caldo atipico inglese, il conflitto sociale tra Oliver e il cugino Farleight risuonante dalle note di Rent dei Pet Shop Boy definiscono un immagine, che anche la stessa music supervisor Kirstene Lane definisce come la vera chiave per comprendere il film. Una musica generazionale che distrugge un sistema da sempre idolatrato che si compie nel ballo finale di Oliver che spogliandosi letteralmente dalla sua precedente vita si sente finalmente libero sotto le note di Murder On The Dancefloor. La reggia di Saltburn risuona del suo rabbrividire, di ciò che nasconde al suo interno, in cui potere e desiderio banchettano insieme, amplificato magistralmente dal lavoro della sound designer premio Oscar Nina Hartstone: «tutto quel trasudamento, quel soffocamento e quel risucchio potenziati che rendono ogni scena inquietantemente orribile così vibrantemente intima». Emerald Fennell concepisce un film che come lei stessa definisce è intensamente pericoloso, un rapporto sulla società nobiliare tra potere ed espiazione. Chi meglio di lei poteva concepirlo dopo aver interpretato Camilla Parker Bowles in The Crown, archetipo perfetto della figlia di nessuno diventata Regina Consorte?