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Perché i formati cinematografici sono sempre più strani?

Da Oppenheimer al nuovo film di Korine passando per Tarantino

Perché i formati cinematografici sono sempre più strani? Da Oppenheimer al nuovo film di Korine passando per Tarantino

I numeri parlano chiaro. Oppenheimer, dopo aver fatto registrare il miglior esordio italiano per un film di Nolan, sta continuando a macinare numeri impressionanti, tanto al botteghino nostrano quanto a quello internazionale. A riempirsi però non sono tutti i cinema. Gli spettatori hanno deciso di prediligere un certo tipo di sala. La migliore possibile? Sì, ma soprattutto quella in grado di garantire una visione simile - il più possibile almeno - a quella pensata dal regista e comunicata da una campagna promozionale che molto ha spinto sull’importanza di vedere il film in una sala IMAX. Il caso Oppenheimer non rappresenta un unicum, quanto una tendenza del cinema contemporaneo. E come vedremo nei paragrafi successivi, la scelta di prediligere formati così particolari, nasconde di volta in volta motivazioni differenti. Prima di iniziare però, è bene fare chiarezza sul formato scelto da Nolan per la sua ultima fatica e sulle differenze rispetto al formato più classico che può capitare di vedere, ad esempio, nel nostro cinema di fiducia dietro casa. In molti casi i cinema utilizzano un formato digitale chiamato DCP - che ha sostituito le più classiche pellicole - con una risoluzione di 2K o 4K. Quando si passa ai 70mm invece la risoluzione arriva a 12k, mentre si raggiungono addirittura i 18k con l’IMAX 70mm, l’ambizioso formato scelto da Christopher Nolan che ha richiesto la produzione di pellicole in bianco e nero specifiche per quel formato. 

Il formato come effetto vintage

La varietà di formati non è però  frutto della modernità. Dalla nascita del cinema in poi ne sono nati di svariati tipi. L’Academy, il Cinemascope, il Cinerama o il Panoramico, sono solo alcuni di quelli che hanno fatto la storia del grande schermo. La loro origine si può trovare nella necessità che ha portato il cinema ad affidarsi al progresso tecnologico in cerca di una qualità sempre maggiore o di introdurre nuove feature (come il sonoro). Oggi invece, dove la soglia qualitativa è maggiormente standardizzata, la decisione a favore di determinati formati o strumenti è una scelta che nasconde, quasi sempre, un determinato significato. Prendiamo ad esempio Tarantino. Per la realizzazione di The Hateful Eight ha optato per l’Ultra Panavision 70, noto anche come MGM Camera 65. Si tratta di un formato particolare, nato per estendere ulteriormente l’aspect ratio di proiezione del 70MM. In parole povere per aumentare ancora di più l’immersività dell’immagine. Una scelta di questo tipo nasconde da una parte un’esigenza tecnica e narrativa. Per The Hateful Eight Quentin Tarantino voleva che il pubblico fosse dentro la baita insieme a quei personaggi, così da condividere con loro la sensazione claustrofobica e ricca d’ansia. Dall’altra nasconde però una passione per il vintage. L’Ultra Panavision 70 è un formato storico, utilizzato per la realizzazione di alcuni grandi classici, come ad esempio Ben Hur. E visto che si tratta di Tarantino, ovvero di un amante della storia del cinema che impone in questo senso un controllo maniacale sulla propria carriera, è difficile non pensare che volesse provare l’ebbrezza di utilizzare quelle camere e quelle lenti.

Il formato con funzione metanarrativa

Ma a proposito di utilizzo di determinati formati non possiamo non parlare di Xavier Dolan e del suo Mommy. Il film del prodigio canadese - vincitore del Premio della Giuria al Festival di Cannes 2014 - si presenta con il formato 1:1 che tutti noi ben conosciamo essendo quello tipico dei post di Instagram. In Mommy, l’utilizzo di questo aspect ratio, è volto ad aumentare la claustrofobia e soprattutto il sentimento di oppressione percepito da Steve, il ragazzino al centro del racconto. Quando in un preciso momento il protagonista muta la propria condizione mentale ed emotiva, allarga il formato con le proprie mani. Come se, attraverso la speranza, il peso del mondo sulle sue spalle si alleggerisse. Nel mentre che risuonano le note e i versi di Wonderwall degli Oasis - perché con Dolan ogni sentimento è accompagnato dal brano pop giusto - Steve si sente di nuovo vivo e noi con lui. Ed a guidare questo processo emotivo è proprio la scelta del formato e la sua variazione che assumono un valore metanarrativo. Senza di essa la scena non avrebbe minimamente lo stesso impatto sullo spettatore.

Il formato per rimettere al centro la sala o per rompere il concetto di cinema

La scelta di particolari formati o tecniche può però diventare una dichiarazione d’intenti o una volontà di far vivere allo spettatore una determinata esperienza. All’80a edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il regista Harmony Korine ha presentato il suo nuovo film Aggro Dr1ft. Oltre alla presenza di Travis Scott nel cast, a destare l’interesse sul progetto è la tecnica con cui è stato realizzato. Aggro Dr1ft è infatti girato interamente con macchine da presa a infrarossi (e poi aggiustato in post-produzione per facilitare la visione). Una scelta provocatoria quella di Korine, interessato a detta sua a sperimentare per cercare di capire cosa verrà dopo il cinema. Per adesso però i risultati non sembrano aver entusiasmato il pubblico del Lido, al punto che secondo più di qualcuno diversi spettatori hanno abbandonato la proiezione (anche se il film si è guadagnato comunque dieci minuti di applausi). Nel frattempo però Korine non ha perso tempo, etichettando il nuovo trailer del videogame Call of Duty come «meglio di qualunque cosa Spielberg abbia mai fatto». Scontro generazionale? Forse. Intanto il regista di Spring Breakers sembra essere idealmente a capo di un moto rivoluzionario che vuole portare il cinema verso un approccio iper-tecnologico, che si tratti di infrarossi o della sostituzione facciale tramite l’Intelligenza Artificiale.  

Diametralmente opposte sono invece le intenzioni di registi come Christopher Nolan, James Cameron o Tom Cruise nel suo ruolo di produttore-attore. Si sono prodigati nel realizzare le loro opere con l’ausilio delle massime tecnologie a disposizione e dei formati più spettacolari e immersivi. Ma con una finalità chiara: portare il pubblico al cinema. Allontanarci dalle piattaforme streaming e dai nostri schermi casalinghi o di uso quotidiano. Perché solo in un cinema - possibilmente IMAX - saremmo stati in grado di goderci al meglio quei film. Cinema come esperienza singola e non fruibile in un luogo diverso dalla sala. Più vicino, se vogliamo, all’idea di un concerto. E come dimostrano i dati si è dimostrata una scelta vincente.