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Gen Z Series: come ti vedi tra dieci anni?

Tra aspirazioni imprenditoriali, niente figli e la ricerca della serenità in un mondo che brucia

Gen Z Series: come ti vedi tra dieci anni? Tra aspirazioni imprenditoriali, niente figli e la ricerca della serenità in un mondo che brucia

Come ti vedi tra dieci anni? È una domanda da situazioni scomode: colloquio di lavoro o cena con i parenti - contesti sociali in cui veniamo giudicati sulle nostre aspirazioni relative ad un arco temporale di cui non possiamo saper nulla. È una domanda che tutto sommato mette ansia e a cui non sappiamo rispondere con certezza. Franco Citti in Accattone, il film del 1961 di Pierpaolo Pasolini in cui un sottoproletario di Roma tenta di vivere alla giornata, direbbe: “O il mondo ammazza a me, o io ammazzo a lui”; Giorgia, la mia amica 23enne a cui ho posto lo stesso quesito lo scorso venerdì direbbe “non lo so, spero con un contratto a tempo indeterminato.” Di recente ho condotto quello che potremmo chiamare “esperimento sociale”, buttando nello stesso stanza quindici dei miei amici più stretti e ponendo a tutti la stessa inesorabile domanda. L’iniziativa non aveva aspirazioni scientifiche, ma è stato interessante riscontrare se e come un gruppo di ragazzi scapestrati con cui faccio serata il sabato abbia saputo restituire il fedele ritratto di un’intera generazione.

"Il futuro appartiene ai giovani" è un'idea su cui hanno riflettuto numerosi studiosi, politici e filosofi negli ultimi anni arrivando, per altro, a esiti parecchio contrastanti tra loro, se non apertamente contraddittori. Ma cosa riserva davvero il futuro a questa generazione? In un sondaggio dell’Allianz Group, il 53% degli intervistati ha dichiarato che tra 10 anni spera di gestire un'attività in proprio e il 65% si è detto ottimista di essere a capo della propria azienda entro il 2030. Proprio come Paolo, studente di ingegneria gestionale in un'università privata di Milano, che racconta le sue ambizioni da “capo di se stesso", sulla scia di quell’aspirazione imprenditoriale che accomuna tutti i membri della Gen Z. Greta, junior footwear designer, sogna di aprire un suo brand, Lorenzo, impiegato in un’agenzia di consulenze, si immagina “pieno di soldi sopra una Porsche”. Certo, tutti hanno parlato di “serenità” come aspirazione ultima delle loro vite, ma il motivetto costante nei loro discorsi, il perno attorno al quale ruotano in egual misura ansie e desideri, sono i soldi e dunque il lavoro. 

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Le ragioni di quest’angoscia finanziaria sono molteplici: una ricerca condotta negli Stati Uniti e nell'Europa meridionale dal Centro per la Nuova Economia e la Società del World Economic Forum ha dimostrato che le generazioni più giovani hanno molte meno probabilità di possedere una casa di proprietà rispetto alle generazioni precedenti. Negli Stati Uniti, nonostante l'aumento generale dei salari negli ultimi cinque decenni, il costo della vita ha superato di gran lunga qualsiasi incremento di reddito, la gen Z si trova pertanto con un potere d'acquisto inferiore dell'86% rispetto a quello dei Baby Boomers. Un quadro di precarietà economica che unito al disastro ambientale che avanzava indisturbato, con il Climate Clock che pone il 2024 come limite ultimo di vita sulla terra, spiega il tasso crescente di disturbi mentali tra i più giovani. L'American Psychological Association riporta che: il 90% dei Gen Z ha sperimentato sintomi psicologici o fisici a causa dello stress nell'ultimo anno, mentre il 70% afferma che l'ansia e la depressione sono problemi significativi tra i loro coetanei. Il tutto si riflette nelle relazioni interpersonali: un’analisi della CNBC conferma che i giovani non danno priorità alle relazioni sentimentali, Forbes conferma che le donne nate tra il 1995 e il 2010 hanno intenzione di posticipare il parto e di avere meno figli rispetto alle Millennials, il 27% non ne vuole avere affatto. 

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Se le generazioni precedenti vivevano ammantate di certezze in una società i cui gli orizzonti erano forse più ristretti ma in cui la vita sembra tutto sommato più semplice, guidate nelle loro azioni dal mito della famiglia, della religione, in tempi in cui l’ascensore sociale prometteva “il grande salto”, oggi, al contrario, non abbiamo più narrazioni che forniscano significato e orientamento alle nostre vite. Friedrich Nietzsche disse che la nostra felicità consiste nel possesso di una verità non negoziabile: oggi, con quella che Byung-Chul Han ha definito “La scomparsa dei riti”, le verità non negoziabili giacciono infrante contro il muro del postmoderno. È un dato di fatto che immaginare il futuro ora sia molto più complesso rispetto al passato, con la Gen Z che si ritrova con un cumulo di macerie su cui costruire e colonizzare la luna come unica speranza di invecchiare in pace. Forse chiedere "dove ti vedi tra dieci anni è un po'" è un po' come infierire, ma se l'ingenua speranza giovanile brucia più di quanto non bruci il mondo, l'unico augurio sensato che possiamo farci è di, come direbbe il mio amico Leonardo, “avere meno ansia”.