
I gossip sui nuovi direttori creativi sono sempre più drammatici In particolare quelli sull'insediamento di Dario Vitale e lo show cancellato di Versace
La notizia di ieri ha scioccato un po’ tutti: Versace non sfilerà alla Milan Fashion Week e organizzerà un evento intimo per il debutto del nuovo direttore creativo Dario Vitale. La decisione è parsa contro-intuitiva: un po’ come un battesimo o un matrimonio, un debutto silenzioso e in sordina è un pessimo segno. Il sempre ben informato Boringnotcom ha gettato benzina sul fuoco, ripetendo in chiare lettere alcuni pettegolezzi che erano circolati a Milano a proposito di un dietro le quinte burrascoso per Vitale. «[Dario Vitale] ha di certo presentato un progetto con la sua visione del brand», ha scritto Andrea Batilla nella sua newsletter. «Se, come pare, il primissimo risultato di questa visione non è soddisfacente al punto da cancellare la sfilata di Settembre forse il problema non è di Dario Vitale ma di chi ha approvato quel progetto». Una voce che gira in questi giorni, alimentata anche da un'intervista rilasciata a Vogue Business da Lorenzo Bertelli dove si spiega come Vitale fosse stato assunto dai "vecchi" proprietari a cavallo dell'acquisizione che però ora è ancora da finalizzare. E dunque, secondo alcuni, Capri Holdings ha scelto di non investire nello show di un brand i cui frutti, a breve, saranno raccolti da altri. «Fino al closing [dell’accordo, ndr] non siamo altro che spettatori», ha detto Bertelli.
Parlare di pettegolezzi rimane scorretto ma, nella moda, le voci di corridoio la dicono spesso più lunga dei rassicuranti comunicati ufficiali. E negli ultimi mesi molti pettegolezzi hanno riguardato gli scontri che i nuovi direttori creativi hanno avuto con i vecchi manager. La primissima causa di conflitto riguarda i team: succede cioè che un direttore creativo pretenda che il suo intero vecchio team venga assunto insieme a lui e che quello vecchio venga licenziato. Il che è ovviamente fonte di molti mal di testa per la direzione del brand e spesso di forti litigi. La cosa è capitata con almeno due mega-direttori creativi di recente nomina negli ultimi mesi, secondo le voci. In entrambi i casi i problemi sarebbero iniziati proprio a causa di questo meccanismo quasi feudale per cui un certo designer si deve muovere col proprio seguito o non muoversi affatto. Gli attriti tendono poi a propagarsi: dal management ai team storici del brand, la strada del conflitto è breve, le fughe di notizie si moltiplicano e, nei loro salotti, i fashion insider parlano. Ma quindi qual è la vera causa di tutti questi attriti?
@ideservecouture The fashion rumors are getting out of control and I have to say something. Now some of these sources are true but some of them are simply a reach. Is it fun to comment and speculate? Yes. But let’s speculate on possible scenarios from a source that is trustworthy and credible. But to comment on everything that I hear? Sorry I can’t do that. #fashion Quirky Suspenseful Indie-Comedy(1115050) - Kenji Ueda
Ogni volta che si sente la voce di un “dietro-le-quinte burrascoso” la colpa viene sempre scaricata sul direttore creativo, il più facile dei capri espiatori. Oltre il già citato tema dell’entourage, un elemento ricorrente dei gossip è quello del domicilio, con la vita del brand che è costretta a spostarsi o comunque dividersi tra la sede storica e il posto dove il designer in questione ha scelto di vivere. Si parla in questi mesi di un direttore creativo che, ad esempio, pur dovendo lavorare in Europa, intende continuare a vivere a Los Angeles, né mancano gli impiegati scontenti di un brand italiano il cui direttore creativo vive in un altro paese e non si presenta in ufficio quanto dovrebbe. Un altro founder di un celebre brand italiano, ora venduto a nuovi proprietari, non ha comunicato l'acquisizione hai suoi dipendenti e li ha effettivamente ghostati sparendo nel nulla. In Inghilterra, invece, ci sono gossip su almeno due famose designer che hanno il vizio di non pagare i propri dipendenti. Spesso, insomma, sono i direttori creativi i villain preferiti di tante storie. Ma la vera domanda è: al netto dei loro comportamenti, qual è l’ambiente nel quale si ritrovano a lavorare? Considerata la grave flessione delle vendite che regna ovunque nella moda, la pressione da parte dei piani alti deve essere estrema. Quando a metà anni ’90 Tom Ford salvò Gucci, con la miracolosa collezione FW95, non solo veniva da un debutto di scarsissimo successo ma la creatività di quella collezione venne, a detta dello stesso Ford, dallo stato di disperazione in cui si trovavano i manager che, disperati, gli diedero sostanziale carta bianca.
Oggi la carta bianca è un lusso che pochissimi possono permettersi. «Oggi i direttori creativi sono costretti a fare quello che vogliono le aziende. L'esprienza di Valentino non può ripetersi oggi perché noi eravamo soli», ha detto di recente Giancarlo Giammetti al Festival Forme di Roma, senza risparmiarsi velate critiche all’attuale direttore creativo del brand. Ma, proprio nel fare il suo discorso, Giammetti ha illuminato il nodo del problema: da un lato i direttori creativi sono “costretti” a seguire la strategia aziendale, dall’altro devono aderire alle aspettative insieme astratte e stringenti che dirigenti e pubblico hanno nei confronti del brand. Per citare sempre Giammetti, quand’è che inizia la “misura” e inizia la “pagliacciata”? Chi, precisamente, dovrebbe accontentare il direttore creativo? I manager, il mercato o se stessi? E a fronte di direttori commerciali e CEO che produrrebbero solo felpe e t-shirt pur di mantenere i propri margini, non è certo d’aiuto che i direttori creativi di oggi, quelli molto famosi almeno, secondo le voci, siano una categoria molto testarda, molto incaponita nei propri metodi e sicuramente assai poco pronta a mettersi seriamente in discussione e cambiare tiro. Il risultato però non è solo la confusione totale, ma anche un’atmosfera che tutte le parti coinvolte (inclusi media e pubblico) rendono semplicemente velenosa. La storia non è nuova: anche Yves Saint Laurent venne massacrato dalla stampa dopo la prima collezione da Dior, ma anche lì una nuova chance gli venne data e soprattutto la pressione dei miliardi di fatturato e della inestimabile brand equity da preservare non ricadeva sulle spalle di una figura i cui contorni sono oggi sempre più confusi.
not trying to summon THAT designer but allegedly she’s withholding money from her employees
— Louis Pisano (@LouisPisano) July 23, 2025
E con la pubblicazione quadrimestrale di risultati finanziari, con gli investitori che vanno rassicurati a ogni passo, con la necessità urgente di trionfare o fallire il lavoro di direzione creativa finisce affogato in un mare di esigenze personali, aziendali ed economiche. Inutile dire che non solo il margine di tolleranza per errori e correzioni di rotta diventa quasi nullo, ma anche che la possibilità di assumersi rischi creativi evapora. È indicativo, comunque, che in un momento di difficoltà così acuto le notizie ufficiose, e sicuramente parziali o comunque incomplete, inizino a rincorrersi e diffondersi parlando di ambienti di lavoro sempre più tesi, più difficili. Forse, dunque, per cambiare l’attuale corso della moda servirebbe cambiare la maniera in cui i suoi direttori e Gran Maestri operano – ma, per parafrasare Ghandi, i dirigenti e i designer della moda sono pronti a essere il cambiamento che vorrebbero vedere nel mondo?













































