
La storia delle Vele di Scampia Cosa resterà del complesso brutalista?

Dopo l’abbattimento della Vela Gialla nel settembre 2024, oggi, 17 dicembre, si completa la demolizione della Vela Rossa, il penultimo edificio ancora in piedi dell’ex polo abitativo di Scampia. Delle Vele, nel corso degli anni, si è parlato molto, forse troppo. Politici che non hanno mai davvero messo piede nella zona nord-est di Napoli le hanno definite il simbolo assoluto del degrado partenopeo, un focolaio di criminalità organizzata, perfino un “cancro” da estirpare per permettere la rinascita della città.
Eppure, le Vele erano nate con un intento interamente opposto, dovevano rappresentare un nuovo inizio per uno dei quartieri storicamente più complessi di Napoli. Costruite lungo viale della Resistenza, erano uno dei progetti più ambiziosi e radicali di quella che oggi potremmo definire un’idea di utopia urbanistica, firmata dall’architetto Francesco Di Salvo.
La storia delle Vele di Scampia
Il progetto delle Vele prende forma tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, in un’Italia attraversata da una forte spinta verso l’edilizia pubblica e la sperimentazione architettonica. Francesco Di Salvo immagina un complesso residenziale capace di superare il modello tradizionale delle case popolari, ispirandosi ai grandi insediamenti modernisti europei e alle teorie dell’architettura collettiva.
Il progetto originale prevedeva sette edifici costruiti tra il 1962 e il 1975, con ogni Vela che si sviluppava su 14 piani, con una struttura a pianta triangolare (come quella di una barca a vela) e un’altezza di circa 40 metri. Il complesso nel suo insieme era pensato per ospitare tra le 6000 e le 8000 persone, distribuite in circa 1200 appartamenti, collegati da una fitta rete di passerelle sopraelevate, comunemente chiamate ballatoi.
I percorsi, nelle intenzioni di Di Salvo, avrebbero dovuto funzionare come strade sospese, così da sostituire il tessuto urbano tradizionale e favorire l’incontro tra gli abitanti. A completare il progetto c’erano spazi comuni, servizi di quartiere, aree verdi e strutture pubbliche che avrebbero dovuto rendere le Vele un ecosistema autosufficiente.
I primi sgomberi tra gli anni ‘80 e gli anni ‘90
L’idea era chiara e, almeno sulla carta, ambiziosa. Le Vele dovevano essere un organismo urbano unitario, in cui l’architettura diventava strumento sociale, un reale progetto di riqualificazione. La realizzazione, però, si è presto scontrata con una realtà ben diversa: i lavori procedevano a rilento, i finanziamenti vennero progressivamente ridotti e molti dei servizi previsti non furono mai completati e già pochi anni dopo l’inaugurazione, il progetto risultò incompiuto.
A partire dagli anni Ottanta, le Vele iniziarono a essere progressivamente abbandonate dalle politiche pubbliche, mentre il complesso venne interessato da occupazioni abusive e da una gestione camorristica. Il processo di demolizione comincia ufficialmente negli anni Novanta, con la Vela F abbattuta nel 1997, seguita dalla Vela G nel 2000 e dalla Vela H nel 2003. Con un degrado sempre più evidente, al cavallo del nuovo millennio, le Vele erano divenute tra le principali piazze di spaccio dell’intero continente europeo e terreno di guerre tra clan che hanno reso il quartiere una delle zone più pericolose di Napoli.
Le Vele nella cultura pop
Negli anni Duemila il complesso ha smesso di essere solo un luogo fisico per trasformarsi in un immaginario, un capro espriatorio visivo capace di condensare in pochi secondi un’intera narrazione su Napoli, la marginalità e il potere criminale. Un processo accelerato e reso irreversibile da Gomorra, prima libro di Roberto Saviano, poi film di Matteo Garrone e soprattutto serie TV di Stefano Sollima.
L’esposizione mediatica del successo del racconto in tutte le sue reiterazioni ha avuto un impatto innegabile sull’intera cultura pop. Da un lato ha contribuito a rendere le Vele uno dei capolavori architettonici brutalisti più riconoscibili al mondo, dall’altro ha rafforzato una narrazione univoca, spesso riduttiva, che ha sovrapposto in modo quasi definitivo il complesso alla criminalità organizzata, oscurando le contraddizioni, le storie individuali e le forme di resistenza culturale nate all’interno del quartiere.
Con l’ascesa della scena rap napoletana, la narrazione delle Vele è entrata anche nell’immaginario musicale italiano. Da Geolier ai Co’Sang, fino al collettivo francese PNL, gli edifici sono diventati un riferimento ricorrente, quasi muse narrative di racconti identitari.
Cosa ne sarà delle Vele di Scampia?
Con la demolizione della Vela Gialla e della Vela Rossa, resta in piedi solo la Vela Celeste, l’ultima superstite del progetto di Di Salvo. L’edificio non vedrà lo stesso destino degli altri sei, anzi sarà protagonista del programma di rigenerazione urbana ReStart Scampia. Il piano prevede la riqualificazione della Vela Celeste, che verrà reinterpretata come spazio civico polifunzionale, destinato ad accogliere funzioni pubbliche e servizi per il quartiere, anziché rimanere una reliquia in rovina.
Il progetto ambisce a combinare abitazioni sostenibili, aree verdi, servizi comunitari e nuove infrastrutture con la Vela Celeste come cuore simbolico e infrastrutturale della trasformazione. Alla Biennale di Architettura di Venezia 2025 è stata presentata l’idea della «Vela Celeste: Reimagining Home», un progetto che ricorre a tecnologie come l’intelligenza artificiale per tradurre le memorie e le aspirazioni degli ex residenti in forme visive e progettuali, così da rendere la Vela Celeste un archivio di memorie collettive e di visioni rivolte al futuro, senza mai dimenticare il passato.












































