
Come la “dopamine culture” sta cambiando la moda Sui social media il confine tra intrattenimento e distrazione diventa labile
Cosa hanno in comune gli audio di TikTok, i drop dei brand e le dating app? Sono tutte azioni nate dalla cosiddetta “dopamine culture”, un termine coniato dal critico musicale e storico statunitense Ted Gioia nel suo saggio The State of Culture, pubblicato a inizio 2024. Secondo Gioia, l’avvento dell’industria della distrazione, rappresentata dai social media, ha generato un effetto esacerbante di dipendenza dalla dopamina, uno dei principali neurotrasmettitori responsabili della regolazione dell’umore. A differenza di altri, come serotonina ed endorfine, la dopamina ha un rilascio molto rapido e, più viene stimolata, più crea dipendenza. Per intenderci, è la stessa sostanza coinvolta nei meccanismi della tossicodipendenza. Gioia ipotizza che ormai tutti, in particolare i più giovani, siano prede della continua ricerca dell’effetto gratificante legato alla dopamina. Nel suo primo articolo, poi seguito da altri in collaborazione con The Atlantic, lo storico sottolinea come questa dinamica abbia modificato radicalmente il nostro modo di interagire con il mondo: ascoltare un album è diventato ascoltare passivamente audio su TikTok, le lettere scritte a mano si sono trasformate in abbreviazioni da messaggio, andare al museo si è ridotto a scrollare un feed. Eppure, nella sua argomentazione, Gioia non fa mai riferimento diretto all’industria della moda, anche se - come ha evidenziato di recente Business of Fashion - è proprio uno dei settori che più rapidamente ha interiorizzato e metabolizzato la “dopamine culture”.
Non è un caso se negli ultimi due anni si è parlato più di cambi di direzione creativa che delle collezioni in sé, né che il debutto di un nuovo designer venga ormai accompagnato da un supporto audiovisivo spettacolare, come nel caso della prima sfilata di Jonathan Anderson per Dior Homme, affidata alla regia di Luca Guadagnino. Secondo BoF, i grandi brand del lusso hanno ormai spostato la loro attenzione dalla creazione di abiti alla produzione di contenuti visivi pensati per suscitare un effetto immediato sui social, innescando un ciclo quasi costante di sfilate stagionali e intermedie ambientate in location fotogeniche, più pensate per essere immortalate nei feed che per l’esperienza fisica del pubblico. Molti consumatori, infatti, non vivono direttamente l’evento, ma lo percepiscono solo attraverso frammenti video e immagini che scorrono sui loro telefoni, per questo ora le sfilate sono passate dall’essere eventi riservati ai lavoratori del settore ad essere alla mercè dei social media, con termini forvianti come EMV e MIV che sembrano aver messo da parte l’importanza dell’impatto culturale e artistico.
fashion designer and creative director on the same tier as content creator… https://t.co/QLbYoolqg3 pic.twitter.com/eCfM7u5ZVJ
— Maxi (@maxiimsorry) July 20, 2025
Come evidenziato ancora da BoF, il punto non è più soltanto cosa i brand producano, ma quanto riescano a competere in un mercato dell’attenzione sempre più affollato, in cui l’obiettivo non è soltanto distinguersi da altri brand, ma anche da meme, news, drama e contenuti virali. La cultura della dopamina, in questo senso, non è più un’anomalia ma una realtà operativa. Eppure, resta aperta la questione: è davvero possibile per clienti e aziende spezzare questa dipendenza? Secondo Rebecca Rom-Frank, senior strategist della società di trend forecasting WGSN, si intravede un lieve ritorno alla ricerca di contenuti più lunghi e riflessivi, ma si tratta soprattutto di un pubblico più adulto e “tradizionalista”. Le generazioni più connesse, invece, continuano a cercare contenuti sempre più caotici e iperstimolanti, come il brainrot. Il rischio, in definitiva, è che i brand, concentrandosi eccessivamente sulla produzione di piaceri istantanei e ad alto impatto, finiscano per perdere ogni reale legame con il proprio pubblico una volta svanito l’effetto dopaminico. Una dinamica che riguarda anche i direttori creativi, ormai mandati al macello dopo un paio di stagioni per non essere stati abbastanza avanguardisti, proprio com’è accaduto a Sabato De Sarno, a cui Kering non ha concesso nemmeno il beneficio del dubbio, sostituendolo con nientemeno che Demna, virtuoso dello shock factor. Riusciremo mai a recuperare un rapporto sano con la moda e con la dopamina?














































