
L'ode alla natura della Haute Couture FW26 di Chanel Una spiga di grano, un tweed e un sogno
Già ieri, il piccolo mondo della moda ha compiuto un salto indietro nella storia della couture con Schiaparelli, che con la sua collezione couture FW26 ha reso omaggio alla fondatrice e al suo lascito. Oggi, come di consueto sotto la volta del Grand Palais, è toccato a Chanel rendere onore a colei che ha fondato la Maison di Rue Cambon, elevandola allo status di vera istituzione della moda, riconoscimento che conserva ancora oggi. Una coincidenza curiosa, se si considera la ben nota rivalità che legava queste due leggendarie couturière francesi. Sebbene l’intento di omaggio fosse simile per entrambe le Maison, l’esecuzione non avrebbe potuto essere più diversa: da un lato l’universo retro-futurista di Schiaparelli, dall’altro una ode alla natura presentata oggi da Chanel. Nessun tessuto metallizzato né gioielli d’avanguardia per celebrare Gabrielle Chanel bensì un’estetica naturale, con una palette che va dal beige sabbia al verde, passando per ecru, avorio, marrone e nero corvino.
In un allestimento che rievocava i salotti dell’Haute Couture al 31 di Rue Cambon, organizzati un tempo da Coco in persona, una brezza tipica delle campagne inglesi e delle brughiere scozzesi ha avvolto il pubblico sin dall’entrata del primo dei 46 look in passerella, sfilati con lentezza e precisione. Pensata e realizzata dallo Studio per l’ultima volta prima dell’arrivo di Matthieu Blazy in autunno – un momento ormai vicino ma che sembra ancora lontano – la collezione rilegge i grandi classici invernali come forse Coco Chanel li avrebbe reinterpretati ai giorni nostri. Le forme, pur restando femminili, si ispirano al guardaroba maschile con volumi e proporzioni che offrono libertà di movimento a chi li indossa. Una piccola rivoluzione nella moda femminile introdotta da Coco, che tutti conosciamo per aver liberato il corpo delle donne inserendo nei loro armadi capi come i pantaloni – fino ad allora prerogativa maschile – e giacche più ampie, destrutturate e senza corsetto. I pantaloni appaiono anche in questa collezione, sebbene dominata da gonne lunghe, dritte, rigorose, che a malapena lasciano intravedere le ginocchia. Non mancano i riferimenti al mondo equestre, tanto caro alla stilista, con alte stivali in pelle e giacche che ricordano quelle degli scudieri dell’epoca.
Il tweed è ovviamente onnipresente: declinato in lunghi cappotti con bordi in pelliccia o in tailleur dai toni tenui, talvolta impreziosito da piume che danno a chi li indossa l’aria di un cacciatore di ritorno da una mattinata fruttuosa all’aria aperta, o che simulano l’effetto di una pelliccia sintetica. Sul piano simbolico, la spiga di grano – emblema di abbondanza tanto caro a Gabrielle Chanel – è ovunque: ricamata, portata in mano, oppure trasformata in bottoni gioiello dorati che brillano sugli abiti come raggi di sole all’orizzonte di un campo di grano. Questa nota dorata torna anche su pizzi ricamati in oro e argento e su un abito a balze in sfumature lamé aranciate. Un tocco di ricamo floreale multicolore arricchisce ulteriormente il tema bucolico della collezione, con un caban decorato e un abito grembiule in crêpe satin, prima dell’arrivo della sposa che chiude lo show. Una sposa severa, austera, proprio come il tono complessivo della collezione. Ancora una volta, Chanel si conferma un po’ troppo ordinata e contenuta, soprattutto per una sfilata di haute couture. Le aspettative per Blazy e la sua visione originale non sono mai state così alte. Si spera che il prêt-à-porter della Maison di Rue Cambon, atteso per il prossimo ottobre, porti non una folata gelida dalle campagne inglesi, ma una ventata d’aria fresca, di rinnovamento, di cui Chanel ha oggi urgente bisogno.



























































































