A Guide to All Creative Directors

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“Italia” è la buzzword dell’anno per la moda

Solo per il marketing, ovviamente

“Italia” è la buzzword dell’anno per la moda  Solo per il marketing, ovviamente

La moda ama l’Italia e l’Italia ama la moda, uno degli stereotipi più veri e apprezzati sul Bel Paese. Il quiet luxury, la crisi della supply chain e il calo generale delle vendite del lusso ha portato i brand europei a mettersi in discussione, a interrogarsi su quali siano i valori effettivi per cui i clienti continuano ad acquistare nei loro negozi. Con il trend della logomania finito in ultima fila e l'espansione del fast fashion nella produzione di abiti desiderabili per la durata di una stagione, il lusso sta puntando nuovamente sull’artigianalità, sull’attenzione al dettaglio e sull'eccezionalità delle proprie materie prime. Il Made in Italy è il motivo per cui brand come Cucinelli, Zegna e Prada continuano a mietere fatturati sorprendenti, in un periodo in cui la fashion industry non se la passa benissimo. Ad accorgersene non sono stati solo i nomi più imponenti della moda del Bel Paese: marchi come Aspesi, Moschino, e ovviamente Dolce&Gabbana hanno fatto della parola Italia un’identità creativa, una strategia commerciale su cui contare ogni estate. Eventi, pop-up, grafiche post-ironiche e nuove aperture nei lidi turistici più amati della costa italiana ne sono la prova. Ma rispetto agli anni ’50 e ’80, quando l’Italia si stava davvero affermando per la propria sartoria, oggi l’italianità rischia di venire utilizzata più per marketing che per produzione. 

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Mentre tantissimi brand italiani (e non solo) stanno capitalizzando sull’identità italiana per gonfiare le vendite, nell’ultimo anno l’artigianato del Paese ha sofferto dolorosi colpi bassi. Il fattore più scontato ad aver inciso sulle produzioni italiane è stato il cambiamento climatico, con alluvioni e altri pericolosi casi di maltempo che hanno rovinato alcuni dei più grandi distretti tessili in Toscana ed Emilia Romagna. A questo problema si aggiunge la carenza di manodopera, un quesito a cui il governo ha provato a rispondere, nel 2023, con l’introduzione del famigerato “Liceo Made in Italy”, che però non ha raggiunto il minimo di studenti per formare le classi. Infine, il crollo della domanda e l’aumento dei prezzi del tessile ha portato alla chiusura di tantissime fabbriche in Toscana, nelle Marche e in Campania. Secondo MF Fashion, le richieste di cassa integrazione per il comparto artigianale sono aumentate a dismisura negli ultimi due anni, con la Toscana che è arrivata a picchi del 170% nel giro di appena dodici mesi. Il settore calzaturiero di Fermo ha subito il picco più alto di chiusure con 1.430 imprese svanite tra 2019 e 2024, mentre in Campania oltre 300 aziende hanno chiesto ammortizzatori sociali. La ciliegina sulla torta della crisi della filiera sono stati ovviamente gli scandali legati alla manifattura, che tra lusso in appalto e accuse di sfruttamento hanno abbattuto definitivamente la reputazione del Made in Italy. Nonostante tutto l’Italia, il suo sole e il suo mare continuano a servire un set perfetto per campagne e capsule dedicate al fascino intramontabile dell'estate. 

Ha senso sfruttare così tanto l’italia se l’eredità artigianale del Paese sta rischiando di scomparire? Alcune aziende, come il Gruppo Prada e il Gruppo Zegna, Chanel e Brunello Cucinelli, stanno investendo in fabbriche e produttori italiani (garantendo anche la loro sicurezza commerciale, adesso che a ogni brand è stata richiesta maggiore trasparenza). A gennaio il governo italiano ha stanziato 250 milioni di euro per il Made in Italy, e a maggio ha approvato un nuovo protocollo per contrastare le illegalità di filiera proposto da Confindustria, due piani che sono stati in parte criticati da Camera Moda per la loro scarsità di intenti. Nel 2025, la moda italiana si ritrova dunque di fronte a un grande paradosso: da un lato ci sono centinaia di brand che capitalizzano sull’immaginario dell’Italia e sulla sua eccellenza artigianale, inaugurando pop-up store ed eventi a tema che fanno leva sul fascino senza tempo del Bel Paese, dall’altro l’intera industria barcolla, schiacciata da un sistema che non le sta offrendo il supporto di cui avrebbe bisogno. È possibile che il futuro della moda italiana sia solo fare l’influencer? Come ormai sappiamo bene, anche quest'altro lavoro comporta un po’ di rischi.