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Portare il menswear oltre i propri limiti: intervista a Martine Rose

Tra notti insonni, la moda per tutti i giorni e l'esordio internazionale al Pitti

Portare il menswear oltre i propri limiti: intervista a Martine Rose Tra notti insonni, la moda per tutti i giorni e l'esordio internazionale al Pitti
Fotografo
Jeremy French

Qualunque siano i vostri gusti in fatto di moda, quello di Martine Rose è un nome che riesce a mettere tutti d’accordo. Enfant prodige della moda inglese, la designer anglo-giamaicana si è fatta strada con un menswear contaminato dalle sottoculture punk e rave, un talento che le è valso non solo un successo su scala mondiale, ma anche una nomina nella lista dei possibili successori di Virgil Abloh da Louis Vuitton. L’ascesa di Rose adesso passa per Firenze, dove è chiamata a portare la sua idea di menswear al Pitti. «Il loro team è incredibile» mi ha raccontato Rose durante il nostro incontro organizzato da LUISAVIAROMA. «Hanno lavorato con designer di altissimo livello e continuano a farlo». Un evento nell’evento come racconta la designer: «Dopo l'invito, ho iniziato a riflettere sui miei show a Londra e non riuscivo a credere di non aver mai sfilato a livello internazionale: Pitti mi è sembrato un ottimo esordio». Proprio per questo una delle prime sfide affrontate da Martine Rose è stata quella di trasportare lo spirito londinese nella città toscana, cercando il modo migliore per poter interagire con il suo spazio urbano. «L’elemento più importante per me era entrare in contatto con Firenze e con la sua comunità, così ho iniziato ad esplorarne i quartieri» ha raccontato la designer. «Pitti è bellissimo, ma non volevo usarlo come sfondo, quindi era molto importante trovare uno spazio e un'area con un messaggio e una comunità esistenti. Volevo trovare un modo per tradurre il messaggio che abbiamo a Londra in Pitti». La scelta è ricaduta sulla Loggia Del Porcellino in Piazza Del Mercato Nuovo, location storica la cui fontana - copia di un marmo che il papa Pio IV donò al Granduca di Firenze Cosimo I - viene da sempre considerata come uno dei portafortuna più famosi d’Italia.

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Per il suo show Rose non ha dovuto appellarsi alla superstizione locale, facendo affidamento unicamente sul suo talento per compiere una missione all’apparenza impossibile: portare la sua idea di menswear nella culla del menswear più tradizionale possibile. «Per me rappresenta lo stile classico, la sartoria impeccabile e la qualità» ha detto la designer parlando di come l’idea di sfilare durante la convention fiorentina abbia influito sul suo approccio alla collezione stessa. «La moda per me è cultura. Ho sempre subito il fascino dell’abbigliamento: quello che le persone indossano, dove lo indossano e perché lo indossano». Un fascino che per Martine Rose è iniziato poco dopo la sua laurea alla Middlesex University di Londra, quando ha fondato insieme a Tamara Rothstein il brand LMNOP, chiuso dopo poche stagioni ma essenziale nella nascita del brand omonimo, nel 2007. «La moda è divertimento e dovremmo continuare a spingerci oltre i nostri limiti. Alcune cose funzionano, altre decisamente meno. Voglio sfidare i miei limiti e vedere cosa posso ottenere» mi dice. Nella lunga ascesa che ha condotto Martine Rose a Firenze però, uno ruolo fondamentale l’ha avuto il Fashion East MAN, l’iniziativa parallela alla London Fashion Week diventata dalla sua nascita nel settembre del 2005 la culla dei nuovi talenti del menswear inglese. Craig Green, Grace Wales Bonner e la stessa Martine Rose - che per la sua collezione SS13 si era ispirata alle sculture di Bernini, sono solo alcuni dei nomi gravitati intorno all’idea nata dalla mente di Lulu Kennedy in risposta all’offerta esclusivamente femminile della settimana della moda londinese. «Era come una famiglia» mi dice Rose ricordando quel periodo in cui «era tutto più piccolo e c’era solo un piccolo gruppo di designer menswear».

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Un periodo di crescita ma anche di stress intenso che ha insegnato a Rose come affrontare il resto della sua carriera: «Il mio primo ricordo è legato allo stress. Avevo deciso di creare una stanza all’interno della mia stanza, era un diamante blu che tagliava la forma quadrata della camera cambiandone completamente la percezione. Un’installazione enorme, ricordo che in quel periodo non dormivo mai. È stata la cosa più ambiziosa che abbia mai fatto». Di lì a poco - era il 2015 - Martine Rose avrebbe ricevuto la chiamata di Demna, da poco nominato direttore creativo di Balenciaga, che l’aveva scelta per lavorare con lui alla sua prima linea menswear del brand. Merito, soprattutto, della sua capacità di unire il mondo dell’abbigliamento maschile più formale con quello meno impegnato come lo streetwear, da sempre tra i punti fermi del suo lavoro. «Mi piace il lato giocoso dello streetwear, l’attenzione tra la moda di tutti i giorni e qualcosa di più strano. È quello che faccio, rifletto la mia realtà, dalle persone che conosco alle cose che mi piacciono, ed è qualcosa che continuerò a fare personalmente nelle mie collezioni». Una ricerca che nasce anche dalla libertà di cui ha sempre goduto Rose nel suo lavoro, riuscendo a mantenere il suo stato di designer indipendente soprattutto oggi, in un momento storico in cui la figura del direttore creativo sembra sempre più subordinata a quella dei CEO dei brand. «Cerco di fare le cose nel modo più autentico possibile, rispondo a ciò che sento e a ciò che è giusto per il brand» mi dice quando le chiedo se si sente fortunata a poter godere di tanta libertà in un momento che lei definisce «il più eccitante che il menswear abbia mai conosciuto». Anche per questo, in un momento di splendore per l’industria dell’abbigliamento maschile, è più palese che mai quanto il talento di Martine Rose sia qualcosa da ammirare con la riverenza solitamente tributata ai più grandi.