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La nostalgia cringe delle televendite

Da marketing nazional-popolare a ironica vetrina della moda

La nostalgia cringe delle televendite Da marketing nazional-popolare a ironica vetrina della moda

Esisteva un’epoca, precedente ai social media, in cui la vendita di prodotti insoliti, interessanti o straordinariamente convenienti passava per le televendite. Di recente è stata la pagina @whoopsee.it a rievocare quel mondo televisivo che, in Italia, era popolato da personaggi ormai mitici come Roberto “Baffo” Da Crema, Jill Cooper, Giorgio Mastrota, Sergio Baracco e il leggendario Chef Tony che nel suo studio televisivo affettava qualunque oggetto pensabile con i suoi Miracle Blade. Le televendite in Italia persuadevano allo shopping la generazione dei nonni, che acquistavano quadri, pentole e materassi con gioioso abbandono; ma erano una specie di carovana delle meraviglie per i loro nipoti che ne scovavano le infinite puntate nei canali secondari del palinsesto scoprendo di volta in volta arnesi come il Rosticcere, il miracoloso Tesmed, frullatori multifunzione, le pillole dimagranti Giorno & Notte, congegni come Fast Clean che puliva le tubature con l’aria compressa, gioielli e tappeti persiani e chi più ne ha più ne metta. A conquistare, più che i prodotti, erano i televenditori: gente del popolo, piazzisti urlanti, istrioni coloritissimi che salivano sui tavoli, promettevano la luna, pronunciavano frasi così fuori di testa da essere diventate dei meme. A ben vedere, in effetti, le televendite di tutto il mondo si somigliano: la qualità bassa del video, le scritte in sovraimpressione piene di numeri e slogan a caratteri cubitali, il tavolo su cui è disposta la mercanzia du jour e ovviamente la presenza persuasiva e teatrale del venditore. Un mondo kitsch e del tutto sopra le righe che non solo ha ricevuto infinite parodie un decennio fa (dalla Veronika di Lucia Ocone ai Fichi d’India e Guzzanti) ma che, a distanza di vent’anni, i designer Millennial hanno co-optato, imbastendo una parodia dell’impostatissimo ed elitario marketing di moda.

Il più recente brand di moda ad abbracciare la completa locura delle televendite è stato Stella McCartney, la cui founder e direttrice creativa si è cotonata i capelli fino all’inverosimile, ha indossato occhialoni e pelliccia tigrata e ha promosso gorgheggiando le sue scarpe e borse. Sempre di recente è toccato a Jacquemus spingere le sue Chiquito trasformando la top model Mica Argañaraz in una venditrice incravattata e vestita di rosa shocking. Il vero maestro di questa arte è però Telfar Clemens, che ha trasceso l’idea stessa di parodia con la sua Telfar TV, trasformando il social media marketing in una sorta di grande show a getto continuo dove si mescolano video di TikTok, coreografia, guest starring di membri della queer community e autentiche apparizioni di Telfar su Fox TV che creano una realtà intensificata, iper-espressiva e comunitaria che è anche diventata una delle cifre stilistiche di Telfar negli anni. Anche Gucci ha sfruttato il format dello spot televisivo nel Natale 2021, per Gucci Beauty, ma creando una specie di special natalizio adiacente ma non sovrapponibile alle televendite vere e proprie. Prima di tutti loro, comunque, era arrivato Jonathan Anderson che promosse la collezione di borse della stagione SS19 con la JWA-TV, finto programma in cui tre signore ricoperte da vagonate di make-up promuovevano i prodotti con quella stessa verve teatrale.

Anche se sarebbe impossibile definire questo format parodistico/pubblicitario una vera e propria corrente narrativa o un trend, val la pena notare come il canovaccio della televendita ritorni periodicamente nelle campagne marketing dei brand mantenendosi sempre identico a se stesso. Stranamente, proprio le televendite, tenute al sicuro nel santuario dei canali tv regionali, non si sono evolute negli anni: ancora oggi Mondial Casa vende batterie di pentole e le ragazze immagine di Eminflex accarezzano le doghe dei letti matrimoniali in bianchi négligé. Oggi come allora i prodotti venduti sono i più disparati, dai copripiumoni alle opere d’arte, dai collier di smeraldi ai frullatori, passando per prodotti di bellezza, climatizzatori, antiquariato giapponese, attrezzature da palestra, tagliaerba, mobility scooter per anziani e chi più ne ha più ne metta. Negli ultimi tempi il formato si è aggiornato con successi alterni, passando dai mercanti del teleschermo ai mega market online di Amazon e AliExpress, agli influencer e YouTuber ma soprattutto ai creator di TikTok, che grazie alla nuova (e controversa) funzione del live shopping possono far acquistare prodotti durante le proprie dirette – format che a quanto pare non ha attecchito bene in Occidente ma va fortissimo in Cina. È chiaro però che il mito delle televendite, anch’esso non privo di ombre, la più grande delle quali è quella di Wanna Marchi, riguarda meno la qualità dei prodotti venduti e più il surreale, bizzarro stile narrativo adottato, sia che si tratti della televendita “all’italiana”, con l’imbonitore che arringa le folle strepitando e monologando come un saltimbanco, o quella “all’americana” che invece presentatori sorridenti come robot, video dimostrativi in bianco e nero che contrastano con i colori brillanti dello studio e una tendenza a collaudare i prodotti venduti nelle maniere più strane, come ad esempio Chef Tony, che non era un vero chef ovviamente, e che coi suoi Miracle Blade iniziava affettando pomodori e pane e finiva per tagliare reti metalliche, scarponi da lavoro e il tagliere stesso.

@renato_crudo Il re delle televendite! Il grande Chef Tony!#pubblicità #ipnosi #televendita #andiamoneiperte #pt #chenesannoi2000 #virale #neipertee suono originale - Renato_Crudo

Eppure è ancora vero che nella mente della maggior parte della popolazione (parliamo a nome di quella italiana) la parola “televendita” è sinonimo di “truffa” – un caso più o meno famoso fu il crollo della dinastia genovese dei D’Anna nel 2016 che, dopo arresti, sequestri, processi annullati e un numero enorme di udienze preliminari, sono tornati a vendere in televisione come se nulla fosse successo. Per farla breve esiste un abisso tra la vera clientela della moda e quella delle televendite, ma allora perché la moda continua a celebrarne l’inesorabile cattivo gusto? Da un lato potremmo ipotizzare a una sorta di feticizzazione del ceto sociale medio-basso, trasformando un marketing rivolto a ceti sociali medio-bassi in scanzonata parodia del lusso per il gusto della varietà e dell’ironia; da un altro lato potremmo leggere nella riscoperta del format delle televendite, nel piacere un po’ corrotto che deriva dalla loro patente, quasi ostentata volgarità, una vena di nostalgia verso un modo di comunicare più spontaneo, a tu-per-tu e meno filtrato rispetto a quello che viviamo oggi. Con la loro sudaticcia, urlante realtà, le televendite ci ricordano di un’epoca in cui il marketing era forse meno sottile ma anche infinitamente più vulcanico, umano e divertente di qualunque dessert preconfezionato ci mettano davanti i grandi brand oggi.