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H&M sotto accusa per false dichiarazioni sulla sostenibilità

Come il problema del greenwashing sta assumendo nuove proporzioni

H&M sotto accusa per false dichiarazioni sulla sostenibilità Come il problema del greenwashing sta assumendo nuove proporzioni
Source: Wikimedia Commons / Nissy-KITAQ

Una donna di nome Chelsea Commodore, sulla cui persona non si conoscono ulteriori dettagli, ha denunciato H&M di fronte alla corte federale di New York accusando il titano svedese del fast fashion di avere sostanzialmente mentito sulla sostenibilità dei suoi prodotti. La dimostrazione di questa pubblicità ingannevole, che avrebbe anche indotto i consumatori a spendere più soldi per prodotti falsamente sostenibili, starebbe nel fatto che, come riporta The Fashion Law, H&M avrebbe utilizzato un sistema di etichette verdi che evidenziavano la sostenibilità di certi prodotti «per poi rimuoverli dopo essere stato denunciato per aver utilizzato "informazioni falsificate che non corrispondevano ai dati sottostanti”.» Queste etichette, che anche in Italia si trovano sui prodotti del brand, sono state il soggetto di un’indagine di Quartz che ha pubblicato negli scorsi giorni un report secondo cui «in molti casi, H&M ha mostrato dati che davano un'immagine completamente sbagliata dell'impatto di un capo di abbigliamento sull'ambiente. Questi errori si sono verificati perché il sito web ha ignorato i segni negativi nei punteggi dell'indice Higg. Per esempio, un abito con un punteggio di utilizzo dell'acqua pari a -20% (ovvero che consuma il 20% di acqua in più rispetto alla media) veniva indicato sul sito web di H&M come se ne consumasse il 20% in meno». 

@ysabellewallace

H&M haul from itsly

original sound - ysabelle

Un ulteriore risvolto della causa intentata da Commodore a H&M sta nella questione dell’advertising: i consumatori sono stati indotti a pagare di più per capi apparentemente più sostenibili ma che in realtà lo erano molto meno. In una semi-ironica nota a margine del pezzo, The Fashion Law sottolinea come, in effetti, dato il bassissimo prezzo dei prodotti messi in vendita il fatto che i capi di H&M non fossero propriamente sostenibili non sarebbe un’enorme sorpresa. Per aggravare ancora di più le accuse, poi, Commodore prende di mira anche il programma di riciclaggio di H&M asserendo che: «Le soluzioni di riciclaggio non esistono o non sono commercialmente disponibili su scala per la maggior parte dei prodotti». Ulteriore dichiarazione fatta dalla donna è che ci vorrebbero dieci anni per riciclare tutti gli abiti che H&M vende in pochi giorni. Una dichiarazione che getta un'ombra su un sistema di fast fashion che, a dispetto di ogni claim, non è mai davvero cambiato e anzi continua a crescere e proliferare ogni giorno. Non aiuta, poi, che su TikTok prosperi la cultura degli haul, con gli hastag dedicati solo a H&M che superano i 261 milioni di views.

Il caso delle accuse di H&M evidenzia uno dei principali problemi della sostenibilità della moda: l’ambiguità delle parole. Quando un brand produce un prodotto veramente sostenibile, e che dunque costa di più oltre che comportare uno sforzo produttivo più importante, dovrebbe infatti esporre a chiari numeri, senza ambiguità apparenti la dimostrazione che sostanzia il suo claim. Ma quando, come spesso capita, un brand si affida a dichiarazioni vaghe, che non si sa cosa vogliano dire, come ad esempio che un certo capo ha “proprietà sostenibili” non meglio specificate o che “almeno il 40%” di un certo capo è fatto con materiali riciclati o di recupero potremmo presumere di essere davanti a un qualche tipo di manipolazione. Non aiuta, ad esempio, che molti sistemi di rating siano troppo flessibili e fraintendibili in questo senso (non a caso quello dell’indice Higg è stato molto criticato a dire di Quartz) o che certi dati positivi vengano mostrati mentre i molti altri negativi siano nascosti. In generale, e specialmente negli USA, l’attenzione del pubblico e della stampa sta iniziando a crescere verso i claim dei brand sul proprio impegno in fatto di sostenibilità – impegno che di fatto non esiste e che viene simulato da una serie di informazioni ambigue volte a sviare i consumatori. Dopo tutto, se tutti i brand fossero sostenibili come affermano di essere il pianeta sarebbe già salvo.