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Che fine hanno fatto le cravatte?

No, non sono scomparse

Che fine hanno fatto le cravatte? No, non sono scomparse

Domenica scorsa i leader del G7 sono stati fotografati, alla fine degli incontri per il summit in Germania, senza indossare la cravatta. Accessorio da sempre - almeno a partire dal periodo della Guerra dei Trent’anni (1618-1648)  - utilizzato nei contesti più formali dove governa incontrastato il diktat del dresscode, la cravatta aderisce a dei canoni comportamentali, estetici e sociali che forse sono in crisi. Tanto che la questione è finita sotto l’occhio di critici di moda e di costume che ne hanno decretato la morte: «Certi outfit hanno qualcosa che non va senza cravatta […] appaiono vuoti, come una notte senza stelle. Se scartate la cravatta, fatelo con intenzione, con un abito dal taglio più moderno, o togliete anche la classica camicia bianca sostituendola con una polo o un dolcevita», ha dichiarato il menswear writer Derek Guy.


E se il loungewear e il leisurewear hanno considerevolmente contribuito alla crisi dell’abito formale, determinando una rilettura delle uniformi in senso stretto, la cravatta è sembrata la candidata ideale al sacrificio. Sacrificio che, a vedere le collezioni SS23 presentate durante la Milan e la Paris Fashion Week, non è riuscito ad attecchire sui moodboard di una sfilza di direttori creativi restii a rinunciarne. Prada in primis: Miuccia e Raf Simons hanno dimostrato che i contesti sono ancora determinanti nella strutturazione di un’identità e che una cravatta, nella sua forma più classica e scura, può rivelarsi persino vincente. Scelta portata avanti anche da Dolce & Gabbana che, in una rivisitazione del suo archivio dei primi anni 2000, ha dato una seconda vita ad un accessorio apparentemente lontano da low rise, canottiere e distressed denim. Stessa cosa da MSGM dove, al fianco di silhouette scandite da camicie cropped e pantaloncini ultra-corti, hanno preso forma cravatte con stampe o tinte bold.

 

Il punto, però, è che i modelli apparsi di recente agli show sono piuttosto lontani dall’idea tradizionale di cravatta. Più che come accessorio ben stretto intorno al nodo del classico, le cravatte sono diventate simboli di una tensione narrativa che s’interroga sul senso dell’abbigliamento formale, sulle dinamiche di potere  e sulla mascolinità in generale. Da Dries Van Noten le cravatte sono state accostate a corsetti e lingerie rosa, cercando di definire una sorta di uniforme dandy genderless. E, forse, quelle a essere più tese e sovversive sono quelle proposte da Thom Browne: sfrangiate e abbinate a completi ispirati alla couture anni ’40 e ’50, queste cravatte hanno scandalizzato un pubblico ancorato all’idea tradizionale dell’abito formale. Anche perché il pubblico a cui i brand puntano non è più costituito da una classe dirigente bisognosa di un abbigliamento per tutti i giorni - i marchi di moda più classici di menswear come Brioni e Hermès non hanno portato cravatte in passerella - ma si estende a fette decisamente più giovani. Potrebbe accadere, immaginando di prevedere un ipotetico scenario, che la cravatta faccia incursioni negli ambienti particolarmente attenti alle tendenze o fra i giovani alla ricerca di uno stile personale.