Vedi tutti

Se la borsa falsa arriva in boutique

Dai fake di Hermès a quelli di Louis Vuitton

Se la borsa falsa arriva in boutique Dai fake di Hermès a quelli di Louis Vuitton

Fake it’til you make it non è il solo il mantra di chi aspira ad un upgrade sul proprio conto in banca, ma anche di chi si appresta a capire se la It bag appena acquistata possa essere un conclamato caso di falso. Per quanto possano essere accurate le guide how to redatte dalle riviste specializzate, riuscire a stanare un falso - riferendosi principalmente al panorama del mercato delle borse di lusso - risulta alquanto difficile. Soprattutto nel momento in cui la borsa falsa viene acquistata proprio dove ci si aspetta il massimo della garanzia. Vale a dire in boutique.

E se addirittura le Rep-Ladies, le ricche signore dell’Upper East Side, sono alla costante ricerca di Birkin false, è segno del fatto che il fake evidentemente si è ritagliato una sua comunità di adepti piuttosto esigente e informata. Archiviata in maniera definitiva l’epoca di Fucci o delle adidas a due strisce, il fake fashion si è attestato infatti come un mercato tutt'altro che secondario. La cosa che stupisce, però, è la notizia che i falsi possano arrivare persino nelle boutique di noti brand di lusso. Nel 2011 è toccato ad Hermès che si è trovato a dover fare i conti con una filiera del falso fatta di 30.045 pezzi arrivati - passando per un deposito di Scandicci - fino a una boutique del centro fiorentino.

 

O, riagganciandosi allo scenario contemporaneo, è successo qualcosa di simile in Cina.  Lo scorso settembre un cliente aveva acquistato una borsa Louis Vuitton Vaugirard e un piccolo accessorio per 22.350 renminbi (pari a 3.350 dollari) presso lo store del marchio nel centro commerciale di lusso Changsha IFS. Un documento legale pubblicato online la scorsa settimana ha rivelato che il tribunale locale del distretto di Furong di Changsha ha ordinato alla maison francese di risarcire il cliente dopo che la borsa è stata autenticata da una terza parte come falsa. Oltre a restituire l’intera somma spesa per l’acquisto, Louis Vuitton è stato condannato a pagare un ulteriore risarcimento pari a tre volte l'importo della borsa, ovvero 67.050 renminbi (10.050 dollari). In una dichiarazione inviata ai media locali, Vuitton ha dichiarato di aver fatto ricorso contro la decisione del tribunale, confermando da una parte di aver trovato un accordo con il cliente e negando, dall’altra, di aver mai venduto prodotti falsi attraverso la propria rete di vendita al dettaglio. L'argomento della presunta vendita di borse false da parte di Louis Vuitton è finito così con il diventare un trend topic sui social media cinesi, tanto che molti centri di autenticazione hanno registrato un'impennata negli affari. Alcuni hanno persino suggerito che il cliente potrebbe aver scambiato la borsa, mentre altri sospettano che si tratti di un lavoro gestito dall'interno. Se così fosse, non sarebbe la prima volta che Louis Vuitton scopre una talpa in Cina.

Già nel 2020, il marchio si era trovato alle prese con un caso di contraffazione che coinvolgeva un'addetta alle vendite del negozio Louis Vuitton di Guangzhou. Situazione ulteriormente alimentata dai recenti rincari messi in atto dai big del lusso - Chanel, Dior, Hermès e Louis Vuitton tra i coinvolti - consci del fatto che gran parte delle loro revenue è strettamente correlata alla pelletteria e alle borse. Per quanto possano essere vissute con distacco da chi preferisce brand di nicchia (con prezzi più accessibili) ai grandi marchi lusso, queste decisioni innescano comunque una riflessione su quello che è il trend percorso dagli accessori cult: CBNData conferma che, dal 2011 al 2020, l'aumento medio annuo delle leggendarie borse Chanel 2.55 ammonta, solo nell’ultimo anno, al +9,1%. Discorso che senza dubbio tocca da vicino le tasche dei VIC, ma anche di una cospicua fetta di adepti sempre più interessata alla ricerca di un prodotto di lusso iconico e destinato a durare nel tempo. Anche se poi, alla fine, può rivelarsi accidentalmente falso.