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La nostalgica modernità di Emporio Armani

Come la diffusion line di Armani riscrisse l’idea del lusso negli anni ‘80

La nostalgica modernità di Emporio Armani Come la diffusion line di Armani riscrisse l’idea del lusso negli anni ‘80
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Per Lui Magazine, marzo 1986, Bruce Weber
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Durante una conferenza tenuta a Firenze per Confindustria negli scorsi giorni, Maria Grazia Chiuri di Dior ha detto: «L’idea della moda “democratica” in Italia ce la dobbiamo togliere dalla mente se un capo è fatto bene, perché dev’essere “democratico”?». Parole che hanno fatto tornare alla mente la descrizione della propria linea Emporio Armani che Giorgio Armani fece a GQ lo scorso settembre: «L’ho immaginato come una linea con cui sperimentare, catturando le nuove tendenze e proponendo una moda democratica». In tempi come questi, in cui l’industria della moda prova ad arrivare al più alto numero di clienti possibile ma farebbe di tutto per non apparire elitista, la questione della democraticità della moda è emersa con drammatica importanza. Da un lato i consumatori sono incoraggiati a desiderare prodotti sempre nuovi mentre dall’altro gli si ripete ogni giorno che il fast fashion è insostenibile e che dunque serve trovare un’alternativa al consumo sfrenato. Di recente questa alternativa è stata il vintage: dai classici mercatini fino all’impero digitale di Grailed, la moda del passato è diventata il surrogato all’inquinante fast fashion, ai cicli fulminei dei suoi trend e ai suoi tessuti sintetici prodotti nei più remoti sweatshop del mondo. Proprio questo trend del vintage ha fatto tornare in auge un brand come Emporio Armani, i cui capi anni ‘80 e ‘90 hanno trovato una seconda vita come uniforme sobria e versatile dei Millennial e della Gen Z - una risposta all’aggressività visiva e all’hype prefabbricato della moda sui social media che contrappone il valore della timelessness a quello della coolness.

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Ai tempi della sua nascita, in effetti, Emporio Armani significò molto per la moda giovanile italiana: il primo negozio aprì nel 1981 in Via Durini a Milano, a due passi da quella San Babila che sarebbe diventata la culla dei paninari ma soprattutto degli yuppie, le due prime subculture giovanili italiane. Il dato è importantissimo in quanto gli yuppie rappresentarono la prima generazione di italiani che assegnò alla moda e al lusso il compito di definire la propria identità, con un netto stacco dal rigore e dalla monotonia di una tradizione fatta di una sartoria che spesso si riduceva a monotona uniforme borghese

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Armani aveva intuito che quei giovani sarebbero stati tutti suoi clienti se fosse riuscito a concepire un lusso alla mano ma elevato - il successo di Emporio Armani fu planetario. Se le campagne e gli editoriali dedicati alla mainline di Giorgio Armani rappresentavano un lusso più classico, ma sempre contraddistinto dalla tipica morbidezza e dal minimalismo dei completi del designer, lo storytelling che portò Emporio nella coscienza collettiva fu diverso: tramite la lente del leggendario fotografo Aldo Fallai, i poster e le campagne del brand proposero una nuova, eclettica estetica che anticipò di anni il gorpcore, il normcore,  il mondo di Aimé Leon Dore e JJJJound e lo sportswear logato – tanto che già intorno al 1986, un giornale di moda pubblicava la foto di una legione di giovani in full look Emporio titolandola I nuovi eleganti.

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Lo shooting più rappresentativo delle potenzialità di Emporio risale al 1986, fu firmato da Dellai. A differenza della maggior parte delle campagne, era a colori, e lo styling includeva un mix molto eclettico di capi e texture abbinati a paraginocchi di pelle, racchette da neve, mazze e caschi da hockey unite a morbidi maglioni oversize a quadri, pantaloni in velluto, wallabee scamosciate e, nello scatto più bello, un cappotto bianco dalla sillhouette tondeggiante, abbinato a shorts trapuntati verdi indossati sopra pantaloni di velluto e stringate grigie – un accostamento di tessuti, volumi e proporzioni che pare uscito da una campagna di Aimé Leon Dore scattata l’altroieri e che invece ha poco meno di quarant’anni. Quella foto è emblematica della assoluta classicità di un’estetica che fa sembrare ancora del tutto desiderabili quei maglioni spessissimi e drappeggiati, quei blazer quadrettati, quei pantaloni così comodi – tutti prodotti poi in collaborazione con manifatture storiche come Comojersey, Manifattura di Pontoglio, la conceria Motta Alfredo e via dicendo.

Per Lui Magazine, marzo 1986, Bruce Weber
Per Lui Magazine, marzo 1986, Bruce Weber
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Per Lui Magazine, marzo 1986, Bruce Weber
Per Lui Magazine, marzo 1986, Bruce Weber
Per Lui Magazine, marzo 1986, Bruce Weber

Strano ma vero, quando il magazine Per Lui, membro della famiglia Vogue, pubblicò un servizio dedicato al teen idol diciottenne Rodney Harvey, lo stylist lo vestirono di Emporio Armani dalla testa ai piedi – a testimonianza di una edginess che contraddistingueva il brand e a una sua fortissima riconoscibilità, anche davanti a una completa mancanza di loghi.

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Parlando con System Magazine nell’aprile del 2014, Armani raccontò di Emporio e delle foto di Aldo Fallai: «I modelli dovevano essere naturali, puliti ed espressivi. Volevo volti che dimostrassero sveltezza di pensiero e caratteri solidi. Per molti anni gli abiti erano stati costruiti con stoffe rigide che inscatolavano il corpo. Io preferivo naturalezza, nonchalanche, piccoli difetti - ed è per questo che ho scelto stoffe e materiali soffici che potessero carezzare il corpo come niente era riuscito a carezzarlo dai tempi della rivoluzione industriale. Era una nuova sensibilità che andava oltre lo stereotipo dell’uomo tutto muscoli perché rivelava un senso di rigore e precisione che non intaccava la sensualità maschile». Tutte parole verissime che però non riescono a spiegare in pieno la ricchezza visiva di quei look, il cui range era vastissimo e includeva tanto i completi di sartoria che i jeans, il workwear ma soprattutto lo sportswear – e tutto questo in un’epoca in cui la Zar-ificazione dei brand di moda non era ancora avvenuta e l’idea di un full look dedicato ai giovani non esisteva davvero. Andando ad analizzare le molte campagne di Emporio dell’epoca, ad esempio, si notano molti risvolti ai pantaloni – scanzonata e rilassatissima risposta agli orli sartoriali dei completi anni ’60 e ’70 e simbolo di una generazione che stava iniziando a reinterpretare il guardaroba dei propri padri.

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A scanso di equivoci, comunque, va detto che moltissimi di quei look appaiono comunque datati, molto anni ’80 ma comunque non sanno mai di vecchio, proprio in ragione di quel mix di cura sartoriale e linee morbide che oggi sono quasi avant-garde. Alcuni giubbotti di una campagna del 1983 non sfigurerebbero affatto dentro una moderna collezione di Bottega Veneta con le loro vite croppate, le lunghe maniche e le tasche a soffietto. Un tipo di look rilassato che si perse nel corso dei minimalistici e sensuali anni ’90, epoca durante la quale i giovani preppy sparirono sostituiti da una formalità più sexy, da uno sportswear sempre più loud e tecnico e il mondo eccessivo degli anni ’80 (che Armani aveva rappresentato nel drappeggio opulento dei suoi pantaloni) venne dimenticato. 

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Se ancora oggi i viaggiatori internazionali che atterrano a Linate sono accolti dalla monumentale insegna che recita il nome del brand e se il brand stesso appartiene a quel ristretto cerchio di diffusion line sopravvissute agli anni ‘90 e ai primi 2000, la lunga esistenza di una linea come Armani Jeans, durata fino al 2018, gli ha fatto perdere l'aura di luxury delle prime collezioni diluendo la prestigiosità dell’aquila di Armani in una cascata di prodotti brandizzati che hanno invaso ogni angolo della provincia italiana per anni. Oggi l’estetica del brand si attesta su un luxury più convenzionale e trend-oriented, sicuramente in linea coi tempi e col mercato ma anche molto meno riconoscibile e distintivo, quando invece il suo DNA è per assurdo qualcosa che gli opinion leader cercano e desiderano. Questo cambiamento percettivo ha a che fare con il brand ma anche con il suo contesto: da un lato, infatti, non esiste più un’estetica distintiva di Emporio Armani e il marchio ha perso quella giovanile freschezza che lo contraddistingueva; dall’altro il mercato si è saturato di basics elevati parecchio più accessibili oltre che di altri brand di moda più giovani dall’identità più spiccata, con l’estetica soft delle campagne anni ‘80 di Dellai che, abbandonata da Emporio, è stata riproposta con grande successo, per esempio, da Teddy Santis nelle sue campagne per Aimé Leon Dore, da Justin Saunders nei suoi moodboard per @jjjjound o da brand come Sporty & Rich.

Sarebbe interessante vedere, oggi, a fronte di una crescita economica e logistica notevole rispetto agli anni ’80, Emporio riappropriarsi di un’estetica che in effetti gli appartiene di diritto in quanto parte della sua storia e del suo passato e quindi molto più autentico e sincero dei molti altri brand che oggi stanno cavalcando questa estetica. I nuovi consumatori cercano una storia ed Emporio Armani custodisce ancora la sua – ed è molta. Ma se già il brand, in occasione dei suoi 40 anni, ha iniziato rispolverare il suo stile più classico con una nuova campagna affidata a sei fotografi diversi tra cui lo stesso Aldo Fallaiaffi data a sei
fotografi diversi tra cui lo stesso Aldo Fallaiaffi data a sei
fotografi diversi tra cui lo stesso Aldo Fallai, in concomitanza con un aumento della popolarità del marchio nel mondo del vintage di ricerca, non è escluso che anche Emporio Armani possa un giorno tornare a essere il nome più celebre del nuovo preppy italiano.