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Dentro l’assurdo e surreale mondo dei meme di moda

La pagine di fashion meme sono la voce del Nuovo Lusso

Dentro l’assurdo e surreale mondo dei meme di moda La pagine di fashion meme sono la voce del Nuovo Lusso

La moda non fa ridere. Anzi si potrebbe dire che i grandi brand del lusso, pur offrendo al pubblico immagini di spensieratezza e positività, si prendano terribilmente sul serio nel proprio ruolo. Del resto, dietro a ogni brand e alla sua filosofia si nascondono investitori, board di amministratori e bilanci trimestrali da far quadrare. Se dunque i brand non possono sbilanciarsi nell’ironia, tocca ai consumatori fare umorismo. E nell’epoca dei social media, l’umorismo si muove attraverso i meme. Pagine come @meme_saint_laurent, @raf_semens, @geocasket@fuckhopsin e @cumdesgarcons contano a oggi centinaia di migliaia di follower e si distinguono sia per l’universo di riferimenti entro il quale si muovono, mescolando ironia e informazione, sia per il ricchissimo e dettagliato ritratto che fanno, sempre in chiave parodica, degli stessi consumatori di luxury fashion. Negli ultimi tempi, con l’esplosione del mercato secondhand e la comparsa di un nuovo concetto di lusso, queste pagine si sono ritagliate uno spazio crescente diventando poli di aggregazione online e fungendo da scanzonate fonti educative sulla storia della moda.

Uno dei grandi (e forse incosapevoli) meriti di queste pagine è di mettere al loro centro non tanto i produttori di moda ma i consumatori, mettendone alla berlina fisime e atteggiamenti. Esistono tante parodie quanti sono i segmenti di mercato degli stessi brand: ci sono i fanatici della moda d’archivio depressi e incompresi, i partigiani del merch di Travis Scott che amano ciecamente il proprio idolo, i “Flower Boys” ricoperti di Golf Wang dalla testa ai piedi e i classici hypebeast  con in mente soltanto il resell. Ciascuno di questi personaggi possiede le proprie gag e battute ricorrenti, ma bisogna notare come nessun gruppo sia escluso da questo umorismo. In altre parole, chiunque sia appassionato di moda può riconoscere in essi se stesso o i propri amici e vedere presi in giro, ma anche celebrati, i propri tratti senza che nessuna delle categorie bersagliate sia veramente esclusa. 

In questo senso, i fashion meme di queste pagine creano un linguaggio comune per tutti i membri della community, evitando di appiattirli tutti in un singolo stereotipo e rendendoli riconoscibili l’uno per l’altro. Un linguaggio e un sistema di riferimenti comuni porta inevitabilmente a rafforzare il senso d’identità della community stessa. Questa community è una delle più pure espressioni del Nuovo Lusso, i cui consumatori sono hyperaware della storia dei brand, in grado di comprendere i layer di ironia nascosti in un meme. Il vecchio lusso, invece, era del tutto privo di questa autoironia che appunto, nel caso dei meme di moda, si concentra su brand decollati negli anni ‘90, come Raf Simons e Rick Owens, e non sulle firme più storiche del settore, troppo istituzionali per essere terreno fertile allo humor dissacrante dei meme.

L’umorismo di queste pagine, però, non si basa soltanto sulla parodia dei fashion addicted che si vedono online ma anche un tipo di umorismo “informativo” che nasconde in mezzo ai meme piccole lezioni di storia della moda. Non si tratta però mai di spiegoni o riepiloghi di storie sui brand più popolari, ma più a riferimenti ultra-specialistici a singoli item e collezioni o a designer di moda avant-garde. La comicità deriva proprio dall’oscurità del riferimento – una vera e propria comicità nerd che mescola cultura e parodia della cultura. Più un riferimento è astruso e specialistico (protagonista di molte gag è l’ormai mitologico “Riot Riot Riot Camo Bomber” della FW01 di Raf Simons), più si accentuano i suoi tratti bizzarri e surreali.

Questo secondo filone di umorismo, che prende dunque in giro la pretesa esclusività della moda avant-garde, ha però il merito di fungere anche da informazione o spunto per chi lo sperimenta per la prima volta. È così che queste pagine diffondono a modo loro la cultura della moda e hanno creato un vero e proprio culto di fashion designer assolutamente poco commerciali ma dalle storie affascinanti come Carol Christian Poell o Boris Bjdian Saberi o hanno gettato una luce su momenti iconici della moda pre-Instagram come le prime collezioni di Raf Simons e il Dior dell’era di Hedi Slimane.

Oltre a rafforzare il senso di identità e appartenenza della community online e svolgere un ruolo d’informazione, queste pagine rappresentano un riflesso lucido ma scanzonato di quella larga fetta di consumatori che conoscono e apprezzano la moda del mercato secondhand. Si tratta di un mondo composto soprattutto da giovani e che al momento non è veramente legittimato né rappresentato dalle pubblicazioni di moda che si concentrano invece sul mercato primario della moda. Ciò che va notato, al netto di tutto il sarcasmo e l’ironia, è la costruttività del discorso sulla moda portato avanti da queste pagine, capaci di auto-moderare la retorica interna alla community facendo riflettere sugli aspetti assurdi e contraddittori della moda ma al contempo celebrandone i lati positivi, la creatività e l’artigianalità.