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I brand potrebbero perdere $1,5 miliardi di dollari con gli influencer

Lo rivela un nuovo studio che indaga le pratiche scorrette su Instagram

I brand potrebbero perdere $1,5 miliardi di dollari con gli influencer Lo rivela un nuovo studio che indaga le pratiche scorrette su Instagram

Antoine De Almeida

Andrea Zendali

Andrea Zendali

Su Shan Leong

Su Shan Leong

L'avvento e l'esponenziale crescita del valore e del ruolo degli influencer ha cambiato radicalmente il modo in cui i prodotti - in particolare di moda - vengono sponsorizzati, promossi e venduti, soprattutto su Instagram.

Se fino a qualche anno fa le grandi campagne pubblicitarie andavano a ricoprire enormi cartelloni posizionati strategicamente tra i grattacieli della città, con immagini perfette, studiate nel dettaglio per attirare l'attenzione di tutti i potenziali consumatori, oggi è tutto molto più semplice: basta una foto postata su Instagram dall'utente giusto per avere lo stesso effetto, se non maggiore. Ricorrere all'impiego di influencer è ormai prassi consolidata nel mondo della moda, portata avanti da brand di ogni fascia e prezzo, lo fanno i giganti come Nike e adidas, e maison come Fendi e Dior - che ha rilanciato la Saddle Bag sostanzialmente su Instagram. Marchi di questo tipo non solo hanno a disposizione budget enormi, ma dietro al lancio di un nuovo prodotto si nascondono proiezioni di vendita e studi approfonditi: il successo di un item lo si conosce già a priori, ma di certo non fa mai male che ci siano anche quelle dieci o venti persone che scrivono su Instagram quanto vale la pena comprarsi la nuova sneaker di Nike. 

Proprio perché avevano a disposizione budget così ampi, i brand si sono affidati, a tratti un po' inconsciamente, agli influencer, lasciandoli fare quello che sanno fare meglio, cioè usare Instagram. E' molto probabile che il passaggio di consegne, se così vogliamo chiamarlo, tra brand e influencer sia avvenuto un po' alla cieca: è come se i marchi avessero detto agli influencer di fare un po' quello che volevano, senza seguire particolarmente come lo facevano. Era quasi inevitabile che gli stessi influencer trovassero metodi alternativi e più o meno legali per ottenere ancora più contratti e partnership. 

Sono queste pratiche, definirle truffe forse è un po' eccessivo, ma in inglese il termine utilizzato è proprio fraud, che mette in luce un nuovo studio condotto dall'azienda di cyber security Cheq in collaborazione con l'Università di Baltimora, e pubblicato qualche giorno fa. Nel 2019 i brand hanno investito oltre $8.5 miliardi di dollari nell'influencer marketing, un dato destinato a salire a $10 miliardi l'anno prossimo. Quello che la ricerca rivela è che entro l'anno prossimo oltre $1.5 miliardi di dollari di quegli investimenti potrebbero andare persi, e non perché Instagram non sia più la piattaforma giusta dove vendere, ma semplicemente perché i "trucchetti" messi in atto dai mega influencer hanno smesso di funzionare, e sono stati scoperti. Il numero di follower, likes e commenti sono ormai dei dati inaffidabili per determinare l'efficacia e l'effettiva portata comunicativa di un influencer, perché sono i dati più facilmente manovrabili. 

Andrea Zendali

Andrea Zendali

Esistono app dedicate così come bot che permettono di acquistare sia follower che likes. Considerando che un influencer può guadagnare anche $12 mila dollari per un post, e che l'acquisto di 1000 follower costa $16 dollari, è evidente che il sistema alla base è di per sé già corrotto. Per determinare l'autenticità di un profilo la componente da tenere in considerazione è quindi un'altra, cioè l'engagement, quanti likes e commenti totalizza un post. Nel caso dell'influencer con 2.6 milioni di follower che non è riuscita a vendere 36 T-shirt è evidente che il suo pubblico non era totalmente autentico, e questo è ben visibile proprio nell'engagement di ogni post. Tecnicamente anche il tasso di engagement non è un fattore su cui poter far affidamento al 100%, dato che è pratica comune tra gli influencer partecipare ai cosiddetti "pod", vere e proprie community i cui gli utenti si scambiano likes e commenti sotto i rispettivi post. 

Un altro metodo spesso utilizzato dagli influencer per "truffare" i brand è quello dei finti post sponsorizzati, vale a dire postare una foto indossando un determinato brand facendo credere di essere stati pagati per pubblicizzare quel brand. Se ad un primo impatto questa operazione potrebbe sembrare fine a sé stessa, in realtà è una mossa quasi astuta: se un brand vede un post sponsorizzato significa che un altro marchio si è fidato di quell'influencer, che è quindi una figura seria e professionale, e con cui sostanzialmente vale la pena di lavorare. Come spiega Guy Tytunovich, fondatore e CEO di Cheq, la frode è ormai una componente intrinseca del digital marketing. Dallo studio emerge infatti che il 25% dei follower di circa 10 mila influencer è fake, mentre due terzi di 800 brand e agenzie di pubblicità hanno collaborato con influencer con follower comprati. 

Su Shan Leong

Su Shan Leong

La conseguenza più immediata ed inevitabile di tutta questa situazione è che gli utenti di Instagram semplicemente non si fidano più del messaggio e dei contenuti che arrivano dagli influencer, per la precisione lo fa solo il 4% di quelli che usano Instagram. L'altra conseguenza riguarda invece i brand che con queste figure collaborano, che stanno progressivamente spostando il loro interesse verso i cosiddetti micro o nano influencer, sicuri di trovare profili più autentici e con un tasso di engagement più alto. Un gigante del fast fashion come Zara, ad esempio, impiega già ora circa 2412 influencer, 522 dei quali sono microinfluencer.

Sembra solo questione di tempo prima che la bolla degli influencer scoppi definitivamente, svelando ombre e difetti di un sistema ormai al collasso.