FUORIMODA REVIEWS – La prima piattaforma online per recensire i fashion show

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A Londra un progetto punk rende accessibili i musei della città Contro il prezzo dell'arte

C’è un cortocircuito nel mondo dell’arte contemporanea, e non è solo una questione di estetica. Oggi, per molti giovani artisti, entrare in una grande mostra costa quanto una bolletta. Non è un modo di dire: a Londra, una visita temporanea alla Tate può superare le 18 sterline, cifra proibitiva per chi, come tanti creativi under 30, guadagna meno del salario minimo. Secondo uno studio recente, il reddito medio annuo degli artisti nel Regno Unito è scivolato a 12.500 sterline, un -40% rispetto al 2010. In questa realtà, il biglietto per una mostra non è più un gesto culturale, ma un lusso. Eppure, paradossalmente, proprio questi artisti sono la linfa del sistema culturale: producono, curano, ispirano, ma rimangono esclusi da ciò che aiutano a costruire.

Una chiave nascosta vicino alla Tate 

In risposta a questa frattura è nato l’Artist Membership Project, un’azione collettiva che ha il sapore di una performance punk. L’idea è semplice ma potente: acquistare membership museali, nasconderle in cassette di sicurezza sparse per la città (soprattutto vicino a grandi musei come la Tate Modern), e condividere le coordinate in un gruppo Whatsapp tra artisti, studenti e precari culturali. Prendi la tessera, entri gratis, la rimetti a posto. Un sistema clandestino ma collaborativo che in pochi mesi ha coinvolto oltre 600 persone e fatto risparmiare migliaia di sterline in biglietti d’ingresso. L’arte, da élite, torna bene comune.

Il curatore Ben Broome, la mente dietro a questo progetto, lo definisce «un’opera d’arte in sé, ma anche un gesto politico». Non una soluzione permanente, ma un atto di denuncia: le istituzioni che dovrebbero essere inclusive stanno diventando sempre più esclusive. Mentre i grandi musei difendono i costi per esigenze strutturali, il sistema si dimostra sempre sostenibile per chi lo anima. E intanto, le tessere passano di mano in mano, tra chi altrimenti non metterebbe piede in quelle sale.

Una provocazione che fa bene

Il progetto non è stato accolto da tutti con entusiasmo: alcuni musei, come il Barbican, hanno bloccato le tessere coinvolte nel circuito, citando «attività sospette». Ma altre realtà, come la Whitechapel Gallery, hanno colto il messaggio e aperto una riflessione interna. La domanda non è più solo «quanto costa l’arte?», ma «per chi è pensata?». In un’epoca in cui si parla (spesso a vuoto) di accessibilità, il gesto di Broome funziona come uno specchio: mostra la fragilità economica della comunità artistica e denuncia la retorica inclusiva delle istituzioni, raramente supportata da politiche reali.

Ci sono modelli alternativi: il MoMA di New York, ad esempio, propone una membership scontata per artisti, accessibile tramite una semplice prova di attività. In Italia, invece, si fa ancora fatica a discutere di accessibilità culturale senza cadere nella carità o nell’eccezione. Il punto è che un giovane artista che non può permettersi una mostra oggi, non diventerà mai parte attiva del sistema domani. E allora, più che reprimere progetti come questo, forse è il caso di ascoltarli. Perché l’arte, se è davvero pubblica, non dovrebbe chiudersi a chi la crea.