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Dove vivono i super ricchi? E come alcuni paesi cercano di adescarli

Negli ultimi anni, diversi Paesi nel mondo hanno adottato politiche mirate per attrarre i cosiddetti “ultra-high-net-worth individuals (cioè persone con un patrimonio netto superiore ai 30 milioni di dollari), introducendo regimi fiscali favorevoli e programmi di residenza pensati appositamente per questa nicchia altamente facoltosa, con l’obiettivo di incentivare investimenti, consumi e trasferimenti di capitale sul proprio territorio. Di recente, uno studio ha classificato le nazioni che – in quest’ottica – offrono più agevolazioni per i super ricchi, utilizzando un indice composito (che combina cioè variabili, fonti e parametri diversi) chiamato Wealth Comfort Index. Questo indicatore tiene conto di sette criteri distinti, ponderati in base alla loro rilevanza: il livello di sicurezza, la qualità della vita, le imposte sui redditi personali e quelle sui guadagni ottenuti da investimenti finanziari o immobiliari (cioè le cosiddette “plusvalenze”), le imposte su successioni e donazioni, il costo della vita e la presenza di programmi di visto o residenza per persone con redditi elevati.

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Al primo posto della classifica si colloca l’Oman: non a caso, il Paese della Penisola araba – oltre ad avere un buon livello di qualità della vita e di sicurezza – applica pochissime imposte sui redditi più alti; inoltre, il costo della vita è relativamente basso e il governo centrale ha introdotto programmi molto favorevoli per le persone con stipendi elevati. Dopo l’Oman, seguono Andorra (il piccolo principato indipendente situato tra la Francia e la Spagna), Qatar e il Brunei – nel Sud-est asiatico. Dallo studio emerge che anche gli Emirati Arabi e l’Arabia Saudita presentano regimi fiscali potenzialmente molto favorevoli per i super ricchi, anche per via dei costi della vita inferiori rispetto alla media dei Paesi occidentali. L’Estonia e il Lussemburgo sono gli unici Stati europei presenti nella top-ten della classifica. Chiudono la graduatoria il Bahrein, un altro Paese della Penisola araba, e l’Isola di Man – un possedimento autonomo sotto la sovranità del Regno Unito, situato nel Mar d'Irlanda.

Un altro meccanismo molto popolare per attirare capitali dall’estero, ma sempre più criticato, è la pratica dei cosiddetti “visti d’oro”, che consiste nel concedere la cittadinanza a fronte di investimenti consistenti nel Paese. Fino a non molto tempo fa era uno schema, questo, diffuso anche in diversi Stati europei, tra cui l’Ungheria, che fino al 2017 ha permesso a centinaia di migliaia di stranieri di ottenere un visto di almeno cinque anni in cambio di grandi afflussi di denaro sul suo territorio. Dal 2013, circa 20mila persone hanno ottenuto permessi speciali dall’Ungheria, che permettevano la libera circolazione nell’area Schengen e il trasferimento di capitali nel Paese, dopo l’acquisto di titoli di Stato per un importo superiore ai 250mila euro. La maggior parte dei beneficiari proveniva da Cina, Russia e vari Paesi arabi, tra cui la Siria. Tra coloro che hanno ottenuto queste concessioni figurano anche personalità soggette a sanzioni da parte dell’Unione Europea e degli Stati Uniti. Tra i nomi emersi c’erano ad esempio Dmitry Pavlov, ex leader di una delle più importanti organizzazioni criminali di Mosca, così come i parenti più stretti di Sergei Naryshkin, direttore dei servizi segreti russi e stretto collaboratore di Putin. Molti di questi soggetti non avrebbero potuto ottenere un visto attraverso le normali procedure burocratiche: il governo ungherese avrebbe quindi tollerato irregolarità, concedendo autorizzazioni eccezionali che, di fatto, compromettevano la sicurezza nazionale e quella del continente. Il sistema era molto contestato dall’Unione Europea anche perché comporta elevati rischi di riciclaggio internazionale di denaro.

Per questo, di recente, anche Malta ha dovuto cessare la rispettiva pratica, dopo che il principale tribunale dell’Unione Europea – la Corte di Giustizia europea – aveva stabilito che il meccanismo era contro la legge. Il governo maltese a luglio ha quindi abolito definitivamente il programma, che dal 2015 aveva generato introiti per 1,4 miliardi di euro. Per ottenere la cittadinanza nel Paese a sud della Sicilia veniva richiesto un investimento minimo di 600mila euro e la residenza sull’isola. Al posto di questa iniziativa verrà introdotto un nuovo sistema – anche se in parte già attivo a partire dal 2017 – che consente la concessione della cittadinanza a persone che apportano un contributo giudicato essenziale in settori come la scienza, la cultura, l’economia o loccupazione, tra gli altri – la creazione di nuovi posti di lavoro, nello specifico, sarà uno dei criteri di valutazione, e le singole richieste verranno esaminate da un’apposita commissione.