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Chi era davvero Ettore Sottsass? Un ritratto completo dell'architetto, dai progetti meno noti alla sua visione spirituale del design

Quando si parla di Ettore Sottsass si tende spesso a identificare la sua figura con le forme colorate e irriverenti del gruppo Memphis. Ma ridurre la sua traiettoria al decennio postmoderno degli anni Ottanta sarebbe come guardare una montagna solo dalla vetta. Sottsass è stato molto di più: un intellettuale, un narratore, un viaggiatore spirituale, un progettista inquieto che ha attraversato il design e l’architettura con uno sguardo personale e profondamente umano. Nato nel 1917 a Innsbruck e cresciuto a Torino, era figlio dell'architetto razionalista Ettore Sottsass, figura di spicco nell'architettura italiana del Ventennio. Questa eredità lo ha segnato profondamente fornendogli una solida base tecnica, ma il suo linguaggio si distacca quasi subito dai canoni rigorosi del funzionalismo e delle forme pure tanto celebrate nel lavoro del padre. Dopo la guerra, l'Italia in ricostruzione e il mondo in fermento offrono al giovane Sottsass terreno fertile per iniziare a lavorare come designer industriale e architetto, ma con un approccio già allora profondamente ibrido. Le sue prime opere rivelano una contaminazione costante da letture filosofiche esistenzialiste, dai viaggi in Oriente che gli aprono nuove prospettive spirituali e dalle collaborazioni con artisti d'avanguardia. Già nei primi anni ’60, quando disegna la celebre macchina da scrivere Valentine per Olivetti (un'opera d'arte pop in plastica rossa, ideata insieme a Perry King), Sottsass capisce che il design può e deve essere ironico, pop, affettivo. Non più solo forma-funzione, ma forma-emozione, un oggetto che dialoga con chi lo usa.

Chi era davvero Ettore Sottsass? Un ritratto completo dell'architetto, dai progetti meno noti alla sua visione spirituale del design | Image 576314
Olivetti
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Olivetti

Il lavoro di Sottsass con Olivetti, per cui diventa direttore artistico per l’elettronica, rappresenta una delle fasi più fertili e innovative del design italiano, contribuendo a definire l'immagine di un'azienda all'avanguardia. Ma è negli anni '70 che Sottsass esplora i linguaggi più intimi e radicali del suo pensiero: scrive racconti e diari di viaggio che mescolano osservazioni personali e universali, intraprende lunghi viaggi in India che influenzano profondamente la sua visione del sacro e del quotidiano, e riflette sul desiderio e sul rituale dell’abitare. In questi anni, lontano dalle logiche industriali, progetta gli enigmatici altarini domestici e le sue ceramiche, opere a metà tra scultura, architettura in miniatura e oggetti rituali in cui emerge una dimensione spirituale del design. Il design, per Sottsass, non è un'attività neutrale, ma un modo per parlare dell’amore, del corpo, della solitudine, del sacro e persino della morte, così da infondere gli oggetti di un'anima.

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Karl Lagerfeld in his office, Monte Carlo 1982
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Sottsass con Shiva, 1973
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Memphis arriva nel 1981 come una vera e propria rivoluzione estetica, ma anche come una provocazione culturale calcolata, una reazione dirompente al minimalismo e alla serietà del modernismo. Insieme a un gruppo di giovani designer talentuosi (da Michele De Lucchi a Nathalie Du Pasquier, da Matteo Thun a George J. Sowden), Sottsass firma collezioni che rompono violentemente gli schemi con colori saturi, laminati plastici che simulano materiali nobili, forme giocose e volutamente sbagliate, nomi evocativi e irriverenti. Il design diventa gesto, racconto, espressione di una libertà ritrovata. Ma proprio mentre Memphis viene celebrato a livello internazionale e diventa un fenomeno di costume, Sottsass, fedele alla sua natura di esploratore irrequieto, decide di distaccarsene nel 1985, proprio per non rimanerne prigioniero. Rifiutava l'idea di essere definito da un solo movimento o stile e fonda così il suo studio, Sottsass Associati (già attivo dal 1980), che lavora su scala globale firmando progetti diversissimi per giganti come Alessi, Philips, Apple (la cui estetica è stata fortemente influenzata dai contributi artistici del designer), ma anche interni raffinati e architetture complesse, come il quartier generale Esprit in Germania o le iconiche boutique Fiorucci, dove il colore e la sperimentazione erano ancora protagonisti.

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1987
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1965
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1965
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1974

Accanto agli oggetti celebri e ai grandi progetti, resta una produzione minore fatta di migliaia di disegni, schizzi, appunti, testi e fotografie. I suoi scritti, raccolti in volumi postumi, sono veri e propri manifesti di un pensiero che unisce estetica e antropologia, critica politica e pura poesia. Sono la testimonianza di una mente che non smetteva mai di osservare, criticare e interrogarsi sul mondo. In uno dei suoi testi più noti, una frase riassume la sua intera filosofia: «Non ho mai pensato che gli oggetti fossero importanti in sé. L’unica cosa che mi interessa è il modo in cui vengono vissuti». Intendere il design non come soluzione definitiva, ma come esperienza in evoluzione è forse il lascito più profondo e attuale di Sottsass. Ancora oggi, in un’epoca dominata da interfacce digitali e prodotti ultra-performanti che promettono soluzioni perfette, la sua visione rimane una voce fuori dal coro, un richiamo alla complessità dell'esistenza umana. Una visione che ci invita a pensare agli oggetti non come icone statiche, ma come compagni di vita, carichi di segni, memorie, ambiguità e, soprattutto, di storie personali.

Nel 2025, tra retrospettive che continuano a celebrarne l'opera come la più recente nella sua casa a Filicudi, ristampe sempre più diffuse dei suoi scritti e collaborazioni "postume" che ne riattualizzano il linguaggio, l’interesse per Sottsass non è solo nostalgia o celebrazione acritica. È la ricerca di una visione più umana, meno cinica, più profonda e, a tratti, quasi spirituale del design. In un mondo che chiede efficienza a ogni costo e performance misurabili, lui ci ricordava di riconoscere il valore anche nell'errore creativo, nel piacere di un oggetto, nella lentezza necessaria per il design. Ettore Sottsass era un progettista che non ha mai voluto esserlo fino in fondo, un intellettuale che ha scelto il design come lente privilegiata per parlare della vita in tutte le sue sfumature. E che, ancora oggi, con la sua inconfondibile ironia e profondità, ci insegna che abitare – nel senso più ampio di esistere e dare forma al proprio mondo – è un atto radicalmente poetico.