
I parchi pubblici sono lo specchio della società
Non sono solo verde, raccontano una città più di qualsiasi museo
02 Luglio 2025
Rifugio, palestra, teatro urbano, spazio d’incontro o di solitudine, i parchi pubblici nel tempo sono diventati termometri silenziosi del benessere sociale e un terzo luogo d'eccellenza. Un prato falciato con cura, panchine integre e aree gioco sicure possono suggerire una comunità coesa e un'amministrazione attenta al benessere dei suoi cittadini. Al contrario, la presenza di rifiuti, graffiti non artistici, recinzioni rotte o scarsa illuminazione notturna sono segnali inequivocabili di disinvestimento pubblico e, talvolta, di un tessuto sociale sfilacciato, dove il senso di appartenenza e la cura del bene comune si sono affievoliti. In un’epoca segnata da crisi climatica, isolamento e nuove povertà, il parco non è più un bonus, ma una necessità. E la sua cura – o il suo abbandono – riflette la qualità delle istituzioni, dell’urbanistica, della comunità. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, l'accesso a spazi verdi migliora significativamente la salute mentale dei cittadini, riduce i livelli di stress e abbassa i tassi di mortalità legati a malattie cardiovascolari. Lo studio "Urban Green Spaces and Health" (OMS, 2016) indica che almeno 9 metri quadrati di verde per abitante sono necessari per assicurare il benessere psicofisico, ma in molte città italiane la soglia minima non viene rispettata. Milano ha in media 18 m² di verde per abitante, ma la distribuzione non è equa: i quartieri centrali ne hanno in abbondanza, mentre le zone periferiche soffrono di spazi trascurati e inadeguati. Questa disparità non è casuale, ma il risultato di scelte urbanistiche passate, di dinamiche economiche che concentrano investimenti e servizi nelle aree di maggior pregio, e talvolta di una minore capacità di pressione politica da parte delle comunità più fragili. Il risultato è un circolo vizioso: meno verde significa meno opportunità di benessere, meno coesione sociale e, di conseguenza, quartieri più vulnerabili al degrado.
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Il parco non è mai neutro. Nelle aree privilegiate diventa curatissimo, con arredi di design, wi-fi, aree per lo yoga, altrove, invece può trasformarsi in un non-luogo: recintato, privo di servizi, lasciato al degrado. Là dove le panchine sono rotte e i giochi vandalizzati, si rivela una città che non vuole più prendersi cura di chi ha meno. Anche l’accessibilità è un parametro politico, se i parchi vengono progettati senza pensare a persone disabili, anziani o bambini rappresentano una città che progetta solo per alcuni. L'accesso equo a spazi verdi di qualità non è solo una questione estetica o di comodità, ma un pilastro fondamentale della giustizia sociale e ambientale. Il rischio è che il verde diventi esclusivo, estetico, pensato più per i social che per l’uso reale. Per quanto possa sembrare marginale, la gentrificazione passa anche dai parchi, infatti negli Stati Uniti questo fenomeno è stato notato a New York, dove la High Line ha trasformato un'ex ferrovia sopraelevata in uno dei parchi più cool della città, ma ha anche reso inaccessibili economicamente intere aree limitrofe. Quando un'area verde viene riqualificata o creata ex novo, attrae nuovi residenti con maggiore potere d'acquisto, investimenti immobiliari e attività commerciali 'trendy'. Questo porta a un aumento del valore degli immobili e degli affitti, rendendo il quartiere inaccessibile per le famiglie che vi hanno vissuto per generazioni, la potenza delle aree verdi diventa così un catalizzatore di esclusione, svuotando i quartieri della loro identità sociale originaria. Per contrastare la «green gentrification», è essenziale che la pianificazione urbana includa misure di protezione per i residenti esistenti, come politiche di edilizia sociale, programmi di affitto controllato e co-investimenti della comunità. Il parco deve essere progettato con e per la comunità locale, non solo per attrarre nuovi capitali.
Eppure, il parco può essere molto di più. Un hub culturale, un centro educativo, un luogo di attivazione civica, progetti in giro per il mondo dimostrano che il parco può diventare motore di convivenza, identità e creatività. Come il Superkilen di Copenaghen, dove il parco è diventato un manifesto vivente della diversità culturale, tra installazioni di design internazionali. A Seoul invece, la "green belt" è un esempio di come un ambizioso progetto di pianificazione urbanistica possa preservare la biodiversità e offrire spazi di svago e connessione con la natura in un contesto densamente popolato. Anche in Italia non mancano le sperimentazioni virtuose: a Milano, il parco della Biblioteca degli Alberi non è solo un'oasi verde, ma ha l'obiettivo di esser laboratorio urbano che integra natura, architettura contemporanea e un ricco calendario di attività culturali e sociali, rendendolo un punto di riferimento dinamico per la vita cittadina. Sempre nel capoluogo lombardo, il Boscoincittà nasce da un progetto partecipativo che mette al centro i cittadini nella cura del verde, rappresentando un modello di gestione basato sulla comunità. A Torino, Parco Dora ha trasformato una zona industriale dismessa in spazio pubblico contemporaneo, conservando frammenti del passato industriale e unendo memoria e futuro. In un Paese in cui il 32% della popolazione vive in città con più di 100.000 abitanti (dati ISTAT), e in cui le ondate di calore mettono a rischio i soggetti fragili, il parco non è un optional ma è un'infrastruttura ambientale e sociale necessaria per il benessere cittadino. Investire nei parchi significa investire nella resilienza urbana, nella salute pubblica e nella coesione sociale, non è un lusso, ma un diritto, una risposta concreta alle sfide del nostro tempo.