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Esiste davvero l'ansia da fitness tracker? Continuare a monitorare la salute potrebbe fare male

Gli antichi Greci usavano la frase «conosci te stesso»; John Locke parlava di autocoscienza, Freud di psicanalisi. L’essere umano del ventunesimo secolo ha trovato un modo contemporaneo per conoscere il proprio io: si chiamano fitness tracker, health tracker, smartwatch, in altre parole wearable device. Nell’eterna ricerca della conoscenza di sé, il monitoraggio del proprio corpo e dei propri ritmi (cardiaci, circadiani) ha assunto un ruolo sempre più centrale e, in un certo senso, filosofico, se si considera che la cultura del corpo e della salute è al centro di accesi dibattiti etici ed esistenziali. Negli ultimi anni, una sempre più vasta moltitudine di dispositivi wearable ha unito l’estetica di un accessorio alla funzionalità del monitoraggio dei dati biometrici degli utenti. Gli Oura Ring, per esempio, stanno vivendo un grande boom grazie al loro design minimalista e alla capacità di tracciare parametri come la temperatura corporea, la frequenza cardiaca e i livelli di ossigeno nel sangue. Senza entrare nel merito dell’enorme e problematico commercio dei dati personali, i wearable però sono sotto attacco anche su un altro fronte: quello della salute mentale di chi li indossa.

@fourbythree #fitbitwas convinced that @johnmichaelbond original sound - Four by Three

Se da un lato dispositivi come Oura, Apple WatchFitBit, possono aiutare a monitorare la propria salute, secondo studi recenti e inchieste giornalistiche rischiano di peggiorare disturbi alimentari e psicologici in soggetti vulnerabili. Un articolo del New York Times raccoglie numerose testimonianze di persone che, prima dell’acquisto di un wearable, conducevano una vita normale, senza preoccuparsi troppo dei propri dati biometrici. Dopo aver iniziato a usarne uno, però, hanno sviluppato un’ossessione maniacale per battito cardiaco, pressione, qualità del sonno, finendo per alterare proprio quei parametri a causa dell’eccessivo stress. La sociologa Debroah Lupton, professoressa di Social Research in Health all’Università di Sidney, afferma al New York Times che «[c]’è una vera crisi in corso» in quanto «le persone sono ansiose di mettere le mani su qualsiasi prodotto di consumo che prometta loro almeno un po’ di controllo su alcuni aspetti della loro vita». Una delle persone intervistate ha inoltre dichiarato di aver acquistato un health tracker dopo aver avuto un bambino per monitorare le notti insonni. Il risultato? Sapere di dormire poco ha reso il sonno ancora più difficile.

A confermare le interviste c’è uno studio scientifico pubblicato sul Journal of the American Heart Association che ha preso in esame 172 pazienti con una precedente diagnosi di fibrillazione atriale. Circa la metà del campione utilizzava un wearable, i cui dati sono stati confrontati con quelli dei soggetti che non lo usavano. I ricercatori hanno scoperto che i pazienti con dispositivo indossabile avevano maggiori problemi cardiaci effettivi, probabilmente a causa della preoccupazione per i sintomi rilevati dal dispositivo. Inoltre, un paziente su cinque ha sperimentato paura e ansia intense in risposta alle notifiche di ritmo cardiaco irregolare. Ma c’è di più. Uno studio condotto su studenti universitari, pubblicato sulla rivista Eating Behaviors, ha evidenziato una correlazione tra l’uso di fitness tracker e un tasso più elevato di sintomi legati a disturbi alimentari. Tra i 105 partecipanti che utilizzavano l’app MyFitnessPal, il 73,1% ha dichiarato che l’app ha contribuito almeno in parte al loro disturbo alimentare, il 62,9% ha riferito che ha contribuito moderatamente, e ben il 30,3% ha affermato che ha contribuito molto al proprio disturbo. Monitorare i segnali del proprio corpo è fondamentale, così come mantenere uno stile di vita sano e attivo. Esiste però una differenza sostanziale tra ascoltare quello che ci comunica naturalmente il nostro organismo e diventare dipendenti dalle notifiche di un dispositivo tecnologico. La vera salute nasce dall’ascolto interiore e dal confronto con il proprio medico, non dall’ossessione per i numeri di un wearable.