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"Testa o croce?" è l’anti-western italiano con Alessandro Borghi Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis sperimentano col genere e con un cast internazionale

Il cinema di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis ha molto a che fare con la tradizione. È sempre dalle storie che partono. Lo avevano fatto con l’esordio Re Granchio, novella tramandata oralmente a cui i registi danno forma e corpo trasportandola sul grande schermo, e si ripetono col secondo Testa o croce?, leggenda di quella che potremmo definire la prima fuorilegge nell’immaginario del far west presentato a Cannes nella sezione di Un Certain Regard. Una donna che cercava di essere libera e indipendente e che, per raggiungere il proprio obiettivo, dovrà affrontare una serie di perdite e vicissitudini. Ma non è l’unico elemento di fantasia che Rigo de Righi e Zoppis, anche sceneggiatori, inseriscono nella loro imprevedibile fiaba: a fare da narratore e a legare gli inattesi eventi di Testa o croce? è la figura realmente esistita, ma cinta da un velo di fantasia di Buffalo Bill, personaggio definito dal suo interprete John C. Reilly bigger than life. Uomo che ha reso la propria stessa esistenza leggenda, ponendosi in quel confine liminale tra ciò che è vero e ciò che è l’immaginazione a rendere immortale. È esattamente ciò che avviene al loro cinema, con il loro stendere le storie e lasciare la sensazione di voler raccontare qualcosa che è stato loro tramandato - come la figura di Buffalo Bill di cui ascoltavano i racconti da bambini - e che vogliono a propria volta perpetuare, consegnandolo agli spettatori e sperando che contribuiscano a mantenere viva la favola.

È la politica del loro sguardo, della loro scrittura, non programmatica perché slegata da regole precise e prestabilite, come dimostrano sia Re Granchio che Testa o croce?, ma con l’obiettivo e la sfrontatezza di poter dire che è possibile fare un altro tipo di cinema in Italia. Usando dunque Buffalo Bill come collante, gli autori partono da un libretto scritto a penna, da pagine che scorrono sullo schermo e che ci immergono da subito nel panorama del western che scopriremo ben presto essere, come definito dal duo, “anti” e “revisionista”. Il genere di Sergio Leone, ma non il western di Sergio Leone. Più etereo e meno polveroso, più magico che brutale, Testa o croce? decostruisce i canoni del più classico tra i generi del cinema fin dai suoi inizi, lasciando sia spazio alla protagonista della francese Nadia Tereszkiewicz, sia ridefinendo i caratteri dei suoi personaggi maschili, partendo dal buttero fragile di Alessandro Borghi. Un trio di attori internazionali per raccontare il sogno dell’America e il desiderio di raggiungerla, ma agendo all’inverso e, invece che avvicinarsi sempre più allo Stato a stelle e strisce, si addentra in un’Italia - per la precisione la periferia laziale - che si fa sporca e rivoluzionaria, attraversata dai personaggi di Rosa e Santino.

La donna, ucciso il marito e intenzionata a scappare, convincerà l’uomo a seguirla in quella che molto presto capiremo essere la sua di storia, non del buttero scapestrato. Con un obiettivo, da parte di Rosa, più grande del solo viaggio per gli Stati Uniti: il raggiungimento di un’indipendenza che è decisa a conquistare anche a costo di spargere sangue. Tutto ciò che non ci si sarebbe mai aspettato da una donna agli inizi del Novecento, spinta ad auto-determinarsi invece che rimanere costretta negli abiti borghesi e restrittivi di un matrimonio infelice e di convenienza. Col film che arriva gradualmente a concentrare il focus sulla giovane, ingannando da principio per poi svelare il nobile intento femminista. Curato come lo era nell’ambientazione già Re Granchio, con i costumi di Andrea Cavalletto - candidato ai David di Donatello per Vermiglio - che raccontano a propria volta una storia (in particolare quello di Rosa e il suo “spogliarsi”) e la raffinatezza del tocco di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis, Testa o croce? è un esperimento tra tradizione e rivisitazione dai mezzi sontuosi e il gesto delicato. È la voce, la presenza e i baffi di John C. Reilly, il fischio con cui si presenta il Santino di Alessandro Borghi e il fuoco nell’interpretazione di Nadia Tereszkiewicz. È un’altra storia che potremmo leggere in qualche libro e che invece a Rigo de Righi e Zoppis, come degli illustratori oltre che cantastorie, piace mettere per immagini.